La campagna ideata da Klaus Davi e Pasquale Diaferia a Roma nel luglio del 2017, finita nelle intercettazione della cosca Alvaro nell’ambito dell’operazione “Propaggine” della Dia, – si legge in una nota diramata dallo stesso Klaus Davi – fu bloccata dall’amministrazione di Virginia Raggi, anche se forse la sindaca non ebbe diretta responsabilità nella decisione. Come raccontò allora la stampa locale calabrese, «la campagna di Klaus Davi e del pluripremiato creativo Pasquale Diaferia sui boss della ‘Ndrangheta che vivono a Roma è stata bloccata. La comunicazione dell’annullamento della campagna pianificata presso la concessionaria Nuovi Spazi è arrivata al massmediologo in queste ore. Stringata la motivazione: “opportunità politica”, si legge nella nota diffusa allora dai due creativi».
Cosa avevano di così inopportuno i poster che avrebbero dovuto essere affissi in tutta la metropolitana di Roma? Semplice, – prosegue Klaus – l’idea creativa riproduceva metaforicamente la mappa di una metropolitana e, al posto dei nomi delle fermate, comparivano quelli dei capibastone della ‘Ndrangheta scarcerati di recente e residenti nella capitale, secondo uno schema che era già stato realizzato nella città di Milano con una campagna analoga. Tra gli affiliati figuravano proprio Vincenzo Alvaro e, tra gli altri, Domenico Bonavota, Antonio Carzo e Salvatore Palamara. Il blocco suscitò la reazione di alcuni esponenti Dem, tra cui Emanuele Fiano che criticò la scelta del sindaco. Nelle intercettazioni, diffuse in questi giorni, Davi viene definito “bastardo” e “sbirro” per la sua volontà di affiggere questi manifesti. Viene addirittura accusato di aver suscitato l’interesse degli inquirenti verso la presenza della ‘Ndrangheta a Roma. Il claim della campagna già allora era eloquente: «La ‘Ndrangheta è l’associazione criminale più influente al mondo: fattura 53 miliardi di euro. Nel Lazio controlla il business della coca, della ristorazione, dell’edilizia, dell’ortofrutta. È tra di noi e distrugge la nostra economia. Ma la politica tace».