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Alimentazione, Montesanto: “La Calabria non è una terra per bambini”

Nella Calabria oicofobica il menu per bambini sistematicamente proposto dalla quasi totalità della ristorazione prevede solo pessime patatine (non quelle della Sila Igp!) scongelate e fritte in pessimi oli pseudo-vegetali e dubbie cotolette pre-impanate e surgelate nei supermercati globalizzati. Non c’è altro. Ecco perché la Calabria, tragicamente vittima e carnefice della sua oicofobia, non è sicuramente una terra per bambini. Ed ecco perché è tra le prime in Europa per obesità infantile (così come ultima in Italia per risultati dei test Invalsi nelle scuole e prima per analfabetismo funzionale), purtroppo con la triste complicità di scuola, genitori e nonni che dovrebbero invece insegnare e tramandare altro, quanto meno a tavola. Perché l’oicofobia, che fa più danni della ‘ndrangheta, perché condanna tutto il Sud ad emigrare a prescindere e per continuare a piangersi addosso, resta anzi tutto una questione culturale e di formazione.

È quanto dichiara Lenin Montesanto, direttore di Otto Torri sullo Jonio commentando i risultati dell’ennesima campagna provocatoria e di sensibilizzazione promossa quest’estate dall’associazione europea, questa volta sull’oicofobia della ristorazione regionale, inserita nella cornice delle diverse iniziative partite nei primi mesi del 2022 per il 25esimno anniversario dell’associazione europea; tra i tanti l’importante evento artistico internazionale denominato appunto Oicofobia, partito a luglio scorso nella Fabbrica di Liquirizia Amarelli di Corigliano-Rossano, sostenuto da Enel Italia Spa, sotto l’alto patrocinio del Parlamento Europeo e con i patrocini, tra gli altri, della Regione Calabria, dell’Ambasciata di Spagna in Italia, dell’Accademia delle Belle Arti di Roma, del Ministero del Turismo e del Ministero delle Politiche Giovanili e che si concluderà a fine ottobre alla presenza del Governatore Occhiuto e del Presidente della Giunta regionale spagnola dell’Andalusia Juan Manuel Moreno Bonilla.

MENÙ OICOFOBICI A FERRAGOSTO, SEGNALAZIONI DA TUTTA LA REGIONE

Ha riscosso, infatti, grande successo di partecipazione da tutte le province l’invito social promosso nelle scorse settimane da Otto Torri a segnalare i menu più oicofobici, quelli lontani mille miglia dall’identità enogastronomica regionale e che, così come poi capitato, sarebbero stati proposti al turista per la giornata tradizionalmente più oicofobica dell’estate calabrese: Ferragosto. La prossima iniziativa sarà sugli extravergini, ma al contrario: invitando a segnalare i pochi ristoranti e trattorie che propongono extravergine calabrese in bottiglia, con etichetta, autentico, sicuro e di qualità. Li conteremo – aggiunge Montesanto.

OVUNQUE TI ACCOLGONO CON PANE ED EVO. TRANNE IN CALABRIA

Dalla Lombardia (che ormai propone ed esalta l’extravergine pugliese, senza se e senza ma), alla Toscana (che da sempre si promuove nel mondo come terra extravergini ma che in realtà trasforma le olive degli altri, calabresi in primis, svendute dai nostri produttori come le clementine) alla Sicilia (che in ogni provincia decanta il suo extravergine locale): ovunque, all’ospite, anche e soprattutto ai bambini – continua il direttore di Otto Torri – presentano pane ed extravergine (l’antichissimo pane e olio); e ciò accade appena ti siedi, appena entri, senza necessità di richiederlo, così per salutarti ed accoglierti col sorriso dell’identità, perfino quella di altre regioni se non vi è produzione regionale.

DA NOI SOLO BUSTINE DI FINTI OLI, DA OLIVE NON ITALIANE

Nella Calabria oicofobica, no. Nella seconda regione italiana per produzione olivicola, se al ristorante o addirittura in trattoria o in una pescheria con cottura lo chiedi o richiedi, perché nessuno ti porta nulla appena entri ed il sorriso spesso te lo scordi come il tempo di attesa, salvo rarissime eccezioni territoriali ti consegnano – scandisce – solo bustine di finto olio prodotto da olive dell’UE (= non italiane), confezionate a centinaia di km nel centro nord o al massimo oscuri ed impresentabili dosatori, ovviamente privi di qualsiasi obbligatorio tappo anti-rabbocco o, ancora, bottiglie anonime, senza storia e senza identità, senza nome e senza faccia, contenenti oli privi di ogni qualità.

MANCA L’EXTRAVERGINE PERFINO NEI SOTT’OLI DELL’ORTOLANO  

Il termometro dell’oicofobia raggiunge il picco quando ti capita di andare dall’antico ortolano, perfino nei centri storici dell’entroterra, che ti presenta e propone i suoi migliori cosiddetti sott’oli, fatti a suo dire secondo tradizione e scopri però (se lo chiedi e va chiesto sempre) che invece dell’extravergine della loro terra usano bidoni commercialissimi di misteriosi oli di semi di altri mondi e di altre tradizioni (sempre che abbiano tradizioni di conserve sott’olio analoghe alle nostre); e la fotografia diventa tragicomica – aggiunge – quando ciò accade addirittura in terre che vantano, spesso solo sulle etichette e non all’interno delle bottiglie (che andrebbero controllate meglio da chi ne ha competenza), cultivar così distintive da essere considerate marcatori identitari, come la Dolce di Rossano, più social che reale.

MA QUALE PECORINO? CALABRIA TERRA D’ELEZIONE DEL PARMIGIANO

Per non parlare poi – prosegue – dell’antica ricotta salata o dei pecorini locali di cui si vanta ogni regione, tranne la Calabria oicofobica, divenuta da decenni ormai terra d’elezione esclusiva del Parmigiano, ovviamente sempre quello della grande distribuzione organizzata o discount: c’è solo questo nella ristorazione, non trovi altro. Drammatico!

MIELE E FRUTTA LOCALE QUESTI SCONOSCIUTI. SOLO BIBITE CHIMICHE

Stesso sconforto, da residente o da viaggiatore, ti assale, neppure a dirlo, se per avventura nella Calabria oicofobica dovessi richiedere per i tuoi figli, del miele regionale a colazione (ne siamo pieni e di elevata qualità), spremute o frutta di stagione o addirittura carne della nostra vacca podolica o del nostro suino nero allo stato brado: sarai accolto, come è accaduto anche questa estate sulle nostre coste e così come ci hanno segnalato in tantissimi, solo con bustine o prodotti delle multinazionali del cibo spazzatura (le stesse che in Unione Europea vorrebbero imporre il cosiddetto e falso Nutriscore), con frutta esotica o bibite chimiche senza frutta e carni di tutto il globo, tutte, tranne quelle calabresi.

NELLE MENSE DEGLI ALBEGHIERI SOLO CIBO DELLE MULTINAZIONALI 

Che poi è esattamente tutto quello che si trova – e qui siamo alla disfatta pedagogica totale – nelle mense degli istituti alberghieri di questa regione: solo cibo spazzatura, anonime etichette globali e zero territorio. Cosa si insegna agli aspiranti ristoratori ed albergatori? L’emigrazione.

NON È UNA QUESTIONE ECONOMICA. MA CULTURALE E DI FORMAZIONE

Non è affatto una questione economica – spiega il direttore di Otto Torri – così come ci si continua a giustificare, nascondendo a se stessi di essere vittime di una grave patologia anti-identitaria. Ma quale aggravio di costo può rappresentare per una qualsiasi attività di ristorazione far trovare all’ospite a tavola monodosi o mini bottiglie da 100ml a salire di sano ed autentico extravergine di qualità dei propri territori? Stesso discorso vale per i cornetti sani di pasticceria. Latitanti.

COMBATTERE L’OICOFOBIA SIGNIFICA FAR GIRARE L’ECONOMIA LOCALE

Semmai è l’esatto contrario. Combattere l’oicofobia a partire dalla ristorazione non significa soltanto fare educazione alimentare (andrebbe imposta nelle nostre scuole), avvelenare di meno i bambini e ridurre il gravissimo rischio sovrappeso e obesità infantile. Significa soprattutto far girare l’economia locale, l’economia circolare. Significa privilegiare e premiare i produttori locali, soprattutto le piccole aziende di qualità dei territori. Significa incentivare la trasformazione delle materie prime di qualità di una delle regioni con la maggiore biodiversità d’Europa. Significa generare reddito locale e regionale. Combattere l’oicofobia – conclude Montesanto – significa soprattutto evitare di piangersi addosso e di far emigrare centinaia e centinaia di giovani ad ogni stagione, strappandoli dalla ricchezza della loro terra per trasformarli in mantenuti a vita, incrementando il Pil di altre regioni (del centro nord), parcheggiati in massa in università dalle quali usciranno più vecchi, senza fantasia, viziati, con titoli di studio senza mercato e meno competitivi di tutti i loro connazionali e coetanei europei. La Politica se ne occupi, perché mangiare è un atto agricolo e perché il cibo è Politica.

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