“La verità non muore mai” - Seneca
HomeCalcioReggina, il pensiero di Giampaolo Latella: "Manca quella cura che ci metteva...

Reggina, il pensiero di Giampaolo Latella: “Manca quella cura che ci metteva chi è cresciuto su questa terra”

Un pensiero spontaneo. Come è spontaneo, da parte nostra, condividerlo. Giampaolo Latella è uno dei giornalisti reggini più acculturati in assoluto, anche se ha preso altre strade. Tra i suoi vari incarichi, ricordiamo quello di capo ufficio stampa della Reggina, ai tempi della Serie A. Pubblichiamo con piacere una sua riflessione social, circa le attuali vicissitudini amaranto:

Non scrivo di Reggina da una vita.
Fatico a farlo, perché da anni la seguo da lontano. Ma è sempre nel mio cuore.
Sono uno di quelli che trascorrono interminabili ore sul Grande raccordo anulare di Roma ascoltando “Vai Reggina” in loop. Ho personalizzato il mio spazio di lavoro mettendo alle spalle non la foto di Mattarella ma la squadra del 13 giugno 1999 (sai che figata fare le call e vedere inquadrata alle mie spalle la Promozione).
In pausa pranzo insolentisco il mio malcapitato collega di stanza, adesso diventato un carissimo amico, con gli highlights delle partite più belle. Gli avrò mostrato decine di volte lo spareggio di Bergamo, la bomba di Barreto con l’Empoli, i derby con i cugini del Messina e via discorrendo. E anche lui ormai sa tutto a memoria: “Sì, avete mandato in B i bergamaschi cor gol de un bresciano. Sì, co’ Mazzarri ve siete sarvati da -15. Sì, lo so, er rigore de Shevchenko, er gol de Ciccio Cozza a Brescia, er gol de testa de Taibi, ecc ecc”. Lui è romanista e non posso non ricordargli che, pur con tutta la simpatia, il 19 marzo 2000 sbancammo l’Olimpico contro la Roma di Capello. Ho una memoria spaventosamente precisa sulla storia della Reggina. Momenti, date, persone: quella Reggina ha segnato le nostre vite che sono rimaste indissolubilmente legate alle vicende della nostra squadra. Ricordo il senso di immane spossatezza, una stanchezza mai provata prima nella mia vita, sui gradini di Marassi, quando ne prendemmo cinque. Sentii che quello era l’inizio della parabola discendente. Con una breve illusione vissuta in una notte di umidità a Novara. E poi l’ultimo palpito di vita, contro l’Ascoli. L’ultima partita della Reggina che ho visto con mio padre. La prima non la ricordo neppure, ma c’era – credo – Sciannimanico, e Muccio Baccillieri annunciava le formazioni.
La Reggina non è solo una squadra di calcio. È, davvero, un simbolo identitario della nostra comunità. La manifestazione di quel pizzico d’orgoglio con cui abbiamo girato l’Italia e, all’affermazione “sono di Reggio”, seguivano sempre espressioni di simpatia per la squadra e di meraviglia per la bellezza della città.
“E quindi?”, penserete, invitandomi a venire al dunque. E quindi, sinceramente, non lo so. Sono solo un tifoso tra centinaia di migliaia. Ma voglio dire che proprio per ciò che l’amaranto rappresenta per tutti noi, della Reggina bisogna avere cura. Quella cura che manca da quando al timone c’era chi è cresciuto / su questa terra / che non ci lascia mai.
Forza Reggina sempre.

Articoli Correlati