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Intervista ad Andrea Carloni, traduttore di “Chamber music” di James Joyce: “Si potrebbe trascorrere una vita solo a seguire ogni richiamo e ispirazione”

di Simone Carullo – Nato a Roma nel 1977, vive in Veneto. Ha pubblicato una raccolta di racconti dal titolo “Chi mai in qualche dove” e il romanzo “Lissy è stata qui”, vincitore del concorso letterario “Rocco Carbone 2021”, bandito dalla reggina “Leonida Edizioni”.

Conduce sulla piattaforma YouTube “Ritratto di Ulisse”, un canale di contenuti inerenti al capolavoro di James Joyce. E proprio da questa passione per Joyce nasce il nuovo progetto letterario di Andrea Carloni, che questa volta lo vede nella veste di traduttore, figura che in passato è stata talvolta sminuita ma oggi è ampiamente rivalutata. Si pensi all’importanza che hanno avuto, in particolar modo nella prima metà del ‘900, figure come Vittorini e Pavese nel favorire l’approdo nel nostro Paese della letteratura americana, “l’unica che possa chiamarsi completamente moderna”[1], in un contesto storico di pretesa quanto assurda autarchia culturale.

“Musica da camera”, Castelvecchi Editore (RM), è una raccolta di poesie giovanili di Joyce proposte da Andrea Carloni in una nuova traduzione che si fa apprezzare soprattutto per la musicalità e l’eleganza formale con cui celebra il ritmo, gli aspetti metrici e le rime degli originali.

Ciao Andrea, partiamo dalla fine, quando e come nasce la tua passione per Joyce?

Nasce negli ultimi anni del liceo. Ero incuriosito dalla fama oscura di questo libro imponente e del suo autore e iniziai a leggerne delle parti, avendone la traduzione Mondadori in casa. Fin da giovane amavo la lettura e la scrittura. Ma non avevo mai letto nulla di così spiazzante; era quel che cercavo. Poi decenni dopo sono uscite le nuove traduzioni e si è aperto un mondo nuovo: quello che sto cercando di raccontare confrontandole con il testo originale sul canale YouTube “Ritratto di Ulisse”.

 Di che parlano le poesie raccolte in “Musica da camera”, quali sono le atmosfere che raccontano, quale il loro humus? E cosa diresti ad un lettore che non abbia ancora avuto modo di approcciarsi al Joyce poeta?

Quel lettore potrebbe rimanere sopreso nel leggere queste poesie giovanili, che sembrano essere lì distese per farsi ammirare quiete nella loro linearità ed essenzialità. Una raccolta di composizioni amorose potrebbe essere una sorpresa, per chi abbia conosciuto Joyce attraverso le sue grandi prose. Ma un lettore curioso e paziente, avrà modo di notare invece come già quest’opera giovanile si reggesse sulla struttura peculiare delle sue opere mature: la musicalità. Possiamo apprezzare ciò, fra i tanti versi, in quelli che chiudono la poesia XII:

“No more be tears in moon or mist / For thee, sweet sentimentalist.”

“Fra luna e la nebbia mai lacrima vista / Per te, la mia dolce sentimentalista.”

Tramite i dodecasillabi ho tentato di riportare in italiano la musicalità che nei versi in inglese era scandita dal ‘tetrametro giambico’; la rima baciata ha fatto il resto. Il testo si ispira ad una passeggiata che Joyce da ragazzo fece di sera osservando la luna con una ragazza di cui era innamorato, Mary.

Rispetto alle versioni di “Chamber  Music” che sono già state pubblicate, quali sono gli elementi di novità che vengono introdotti nella tua traduzione e quali gli aspetti su cui hai maggiormente lavorato?

Proprio in virtù della musicalità che lo stesso Joyce riconosceva come tratto fondamentale di queste sue poesie, ho voluto tradurle riportandone anzitutto il ritmo e il suono, cercando di ritrovarne e riproporne la rima e la metrica, prima di tutto. Sarei felice se il lettore si dilettasse nel leggersele ad alta voce e provare a sperimentarne le risonanze.

In letteratura abbiamo molti esempi di autori per i quali la città natale o la regione d’origine (le famose Langhe) rivestono un ruolo fondamentale per lo sviluppo della loro poetica nonché come tematica esistenziale. Uno dei maggiori esempi è, appunto, Dublino per Joyce. Perché secondo te? E Roma ha questo ruolo per te?

Joyce per scelta e necessità, nel suo esilio volontario ebbe modo di  vivere in molte città europee, conoscere diverse culture, popolazioni e linguaggi, per rendersi conto, come lui stesso affermò, di non aver mai in fondo lasciato Dublino. Io probabilmente da Roma non mi sono mai allontanato così drasticamente da potermi sentire del tutto esiliato. C’è tempo ancora.

Accennavamo all’importanza che hanno avuto alcuni traduttori nel corso della storia della Letteratura italiana, abbiamo già citato Vittorini e Pavese ma potremmo ricordarne altri come Moravia o De Angelis per l’Ulisse, ma secondo te, oggi, che ruolo ha la figura del traduttore? È più un veicolo o un mediatore?

Sono d’accordo con Enrico Terrinoni, che di Joyce – e non solo – è profondo ed esperto traduttore, e che ha scritto una importante postfazione questo mio “Musica da Camera” – secondo cui le traduzioni possano agire come un prisma ottico, generando i diversi colori a partire dalla luce bianca originaria. E penso inoltre che il valore di una traduzione lo si possa apprezzare non solamente nel saper condurre il testo originale al lettore, ma soprattutto nel condurre il lettore al testo originale.

Soffermandoci adesso sul tuo mestiere di scrittore: quanto tempo dedichi alla scrittura, hai un metodo particolare o forse dei particolari vezzi con cui ti approcci alla pagina bianca? E quanto tempo, invece, dedichi alla lettura?

Non essendo per me la scrittura la fonte economica con cui “pagarsi le bollette”, diviene molto importante avere cura del cosiddetto tempo libero dal lavoro che svolgo per vivere: organizzarsi e concentrarsi al meglio nelle ore che rimangono nel corso della giornata. Fortunatamente per ora, basta questo a far si ché la pagina bianca si annerisca subito.

In questo momento stai approfondendo qualche autore in particolare?

Come è immaginabile, mi sto dedicando non solo al periodo modernista. Quando si ha curiosità per un autore come Joyce, ci si ritrova inevitabilmente attratti da innumerevoli riferimenti letterari, che investendo la prosa e la poesia contemporanea, risalgono poi fino ai classici; si potrebbe trascorrere una vita solo a seguire ogni richiamo e ispirazione. In particolar modo in questi giorni sto rileggendo Yeats.

Il 2022 volge al termine e credo che si possa dire che per te sia stato un anno molto prolifico: hai appena pubblicato con Castelvecchi Editore “Musica da Camera”, di cui abbiamo parlato, mentre a maggio sei uscito con il tuo primo romanzo “Lissy è stata qui”, edito da Leonida. Che voto dai al tuo 2022 e cosa ti aspetti dal 2023?

“Lissy è stata qui” è il mio romanzo d’esordio,. Narra dell’amicizia fra una scrittrice canadese e la sua amica, Lissy, che con gli anni lascerà tracce sempre più profonde nella sua vita e nelle sue opere. E’ stato bello ricevere il primo premio del concorso letterario “Rocco Carbone” proprio durante lo svolgimento dello Xenia Book Fair sul lungomare di Reggio Calabria. Dunque darei intanto un ‘8’ al 2022; vorrei dare anche di più in quanto è stato ed è ancora per me un anno con dei risultati davvero inaspettati. Ma, meglio andarci piano e restare sempre un po’ umili, ne avrò bisogno, avendo in cantiere per l’anno a venire una nuova e non semplice traduzione e una mia prima raccolta di poesie.

[1] Elio Vittorini, su “Il Politecnico” 1946.

Affidati a me, che io resti sapiente,
E che indifferente il divino mi sia,
Negli occhi una gloria s’è fatta splendente,
Tremante di stelle. Cara, o cara mia!

 

Believe me rather that am wise
In disregard of the divine,
A glory kindles in those eyes
Trembles to starlight.
Mine, O Mine!

Da “Musica da camera” di James Joyce – traduzione di Andrea Carloni.
Castelvecchi Editore 2022

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