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Tropea Film Festival, Pupi Avati incanta il pubblico con aneddoti e invettive contro i “ruffiani” che si fanno strada immeritatamente

L’azzurro del Tropea Film Festival ha colorato l’Arena del Porto che ha ospitato l’elegante serata di sabato, penultimo appuntamento in programma.
La bellezza del cinema con il ricordo del genio di Federico Fellini, l’incanto per la Calabria da riscoprire, l’amore per la vita e la sacralità dell’amicizia i temi che hanno suggestionato la platea. A dare il benvenuto i presentatori Linda Suriano e Walter Santillo con il saluto della madrina della serata Manila Nazzaro.

Interessanti i contenuti dei tre talk che si sono susseguiti con gli ospiti la regista Anselma Dell’Olio, l’attore Totò CascioMarco Patrignani presidente dei Forum Studio e dell’Orchestra Italiana del Cinema.

Super ospiti dell’evento i ragazzi della fortunata serie tv “Mare Fuori” Alessandro Orrei, Selene Caramazza, Serena Codato che hanno letteralmente fatto impazzire il pubblico più giovane a cui sono stati concessi selfie e autografi.

OMAGGIO AL MAESTRO FEDERICO FELLINI: Il sogno come interpretazione del reale ha segnato tutta la sua produzione cinematografica. Al centro, quella visione grottesca e lunare, la trasfigurazione della realtà, l’allucinazione. L’incatalogabile visone filmica di Federico Fellini, spiegata con maestria da Anselma Dell’Olio, ha scandito un interessante momento della sesta giornata del Tropea Film Festival, cofinanziato dalla Calabria Film Commission, nel dibattito con Paolo Di Giannantonio e Walter Santillo. In collegamento il giornalista Vincenzo Mollica, legato a Fellini da grande amicizia. Il circo come metafora dell’esistenza, quella sua visione grottesca che ha alimentato una prospettiva critica del mondo, attraverso la frammentazione delle storie. Al centro del dibattito, il docufilm che la regista ha realizzato su Federico “Fellini degli spiriti”. “Una straordinaria capacità di osservare per poi raccontare il mondo” ha spiegato Anselma Dell’Olio, che ha lavorato con il grande autore, ricordando quello sguardo acuto, capace di sventrare la realtà. “Non immaginavo di fare un lavoro sul maestro. Eppure Vincenzo Mollica me lo aveva predetto“, aggiunge l’autrice dell’opera vincitrice del Nastro d’Argento. “Veniva in redazione la sera” ricorda Vincenzo Mollica “quando io dovevo chiudere il montaggio dei servizi. Immaginate il trambusto che si scatenava tra gli addetti ai lavori. Guardava il pezzo, si fermava un attimo a riflettere e poi esordiva “hai notato che c’è un fiato di troppo?“. Da lui ho ricevuto insegnamenti preziosi“. Nel corso della serata non sono mancate le riflessioni sul Fellini sconosciuto, che affiora dal racconto della regista. “Era profondamente attratto dalla sfera del mistero” ricorda Dell’Olio “terribilmente affascinato dal professor Gustavo Rol, ma nelle interviste di repertorio che ho visionato per il docufilm non ho trovato nessun riferimento. Eppure era un aspetto determinante per comprendere chi fosse Fellini. Se non si esplora questo aspetto non si possono interpretare i suoi film. Si resta solo in superficie“. Sulla scorta di questa considerazione la regista ha svelato che il suo prossimo lavoro sarà proprio sul professor Rol, che attraverso una serie di esperimenti aveva dimostrato a Fellini l’esistenza di più dimensioni. “Non aveva padri e neanche figli” ha concluso la regista “perché era unico“. Non ci sarà un altro Fellini“. Una conversazione ricca di aneddoti, come quello del giornalista Paolo Di Giannantonio. “Alle 20:30 Mollica ci salutava, per andare a cena con il maestro Fellini. Poi, sul tardi, tornava in redazione e veniva a cena con me e Mentana“.

LA GLORIA E LA PROVA DI TOTÒ CASCIO: All’età di 9 anni esordisce sul grande schermo, con il ruolo del protagonista Salvatore “Totò” Di Vita nel film Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, vincitore dell’Oscar per il miglior film straniero. A distanza di 35 anni Totò Cascio, continua il suo racconto, adesso più biografico che cinematografico, con il libro La gloria e la prova (ed. Baldini+Castoldi). La presentazione del volume inserita nella sezione letteraria del Festival è l’occasione per intavolare la conversazione con l’attore siciliano che ha risposto alle domande della giornalista Rosita Mercatante e di Roberto Candia, uno degli organizzatori del Premio Caccuri.
Sul grande schermo dell’anfiteatro del porto scorrono le sequenze del capolavoro uscito nelle sale nel 1990, in particolare quelle indimenticabili di quando il piccolo s’intrufola nella stanza del proiezionista Alfredo, Philippe Noiret, Totò Cascio comincia dal ricordo dell’essere stato considerato un “bambino prodigio”“Da bambino, ho avuto due compagni di gioco straordinari: dicono che i bimbi siano come spugne e così con Noiret, sotto la guida di Tornatore, c’è stata davvero empatia. Oltre il cinema, ciò che mi hanno insegnato lo porto nella quotidianità della vita, un dono del buon Dio”. Sul rapporto con Tornatore ricorda quando: “Sbraitava contro di me, capitava quando lo facevo arrabbiare. Sulla piazza, dove c’era a guardare tutto il paese, anche mia mamma, mi diceva ‘…non potevo scegliere bimbo peggiore…’ e in me scattava il senso d’orgoglio. Lui un altro bimbo lo poteva trovare, io un altro Tornatore no. Un insegnante che auguro a tutti, sapiente. Non dimentichiamo che Peppuccio aveva 32 anni e ha vinto l’Oscar“.
Quella di Tornatore è stata più una scoperta che una scelta. Si è imbattuto in quel bambino dalla formidabile capacità interpretativa, l’ha scoperto cercando, di paese in paese: Cascio racconta che era periodo di vaccinazioni nelle scuole, così quando arrivarono “quelli del cinema” per il casting, i compagni, sapendo della sua paura, per deriderlo gli dissero che fossero gli infermieri e lui prontamente si nascose, finché si resero conto fosse l’ultimo rimasto, un ultimo che ha confermato la regola che ribalta la coda e poi diventa “primo”, conquistando il ruolo.

La gloria e la prova – di cui dal libro un corto, A occhi aperti, su RaiPlay – è un titolo che cristallizza in due parole la parabola biografica di Totò Cascio, per cui, a questi concetti, lui aggiunge: “la prefazione di Tornatore e la postfazione di Andrea Bocelli. La gloria è facilissima da accettare, da accogliere e condividere: nel giro di quattro anni ho fatto una decina di film – da Diceria dell’untore a Festival di Pupi Avati – quando mi viene diagnosticata la retinite pigmentosa, per cui abbiamo girato il mondofino a un verdetto brutale: sono entrato in un circolo vizioso di panico e bassa autostima. Poi conosco la moglie di Bocelli, Veronica Berti, che mi ha dato l’occasione di mettere tutto questo nero su bianco. L’ho fatto guidato dalle parole che hanno concluso la prima telefonata con Bocelli, che mi disse ‘la disabilità non è un disonore’e da lì la scossa“. Prendere consapevolezza della malattia e rompere il silenzio ha aperto un nuovo scenario della sua vita: “a breve girerò un corto e ho avuto diverse proposte per il cinema. Se penso a cosa desidero fare non ho un’ossessione, ma mi piacerebbe molto lavorare con Checco Zalone, dopo tante lacrime ho voglia di ridere. Inoltre, adesso ho un impegno nel sociale: sensibilizzare alla disabilità anche incontrando i ragazzi nelle scuole“.
Un esempio di autentico amore per la vita. Le difficoltà agli occhi non lo fermano e lancia a tutti il suo messaggio ricco di positiva umanità: “Occorre trasformare il verbo essere in avere: non sono disabile ma semplicemente ho una disabilità di cui non sono colpevole e di cui non debbo vergognarmi. Mai perdere la fiducia nella scienza che progredisce riuscendo a curare e a salvare: la vita è bella!“.
Questo è il suo nuovo cinema paradiso, versione 2.0.

Il Premio della prima edizione del Festival a Luca Lucini regista del film “Io e mio fratello” con le protagoniste femminili Denis Tantucci e Greta Ferro. Un lavoro girato in Calabria ad Altomonte: “Il racconto si incentra sul ritorno alle origini della protagonista. Un viaggio alla riscoperta di valori e sentimenti legati alla terra. È stata una scoperta anche per noi. In genere la Calabria è una terra poco conosciuta e nel cinema poco sfruttata, soprattutto nella commedia, spesso sfondo di storie violente e di ndrangheta. Invece dopo questa esperienza posso dire che qui c’è molto altro“.

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