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La “spavalderia criminale” dei doganieri arrestati al porto di Gioia Tauro: davano istruzioni ai trafficanti di droga per superare i controlli

Sono accusati di traffico internazionale di cocaina i due funzionari dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli di Gioia Tauro arrestati stamattina dal Nucleo di polizia economica finanziaria della guardia di finanza-Gico che ha eseguito la misura cautelare nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Stando alle indagini condotte dal colonnello Mauro Silvari, Antonio Pititto e Mario Giuseppe Solano, rispettivamente di 60 e 59 anni, farebbero parte di “un gruppo criminale – si legge nel capo di imputazione – articolato su più livelli, comprensivo di squadre di operatori portuali e doganieri infedeli, dotato di elevatissime disponibilità finanziarie allo scopo di commettere più delitti”.

In particolare, quello di “reperire ed acquistare all’estero, importare e trasportare in Italia attraverso le navi cargo in arrivo al porto di Gioia Tauro nonché commercializzare ingenti quantitativi di cocaina”. Oltre ai due doganieri, e alla dipendente di una società di spedizioni, Elisa Calfapietra, di 38 anni, finita ai domiciliari, nell’inchiesta ci sono altri 4 indagati.

Si tratta di Domenico Cutrì di 45 anni, Giuseppe Papalia di 39, Renato Papalia di 27 e Pasquale Sergio di 63 anni. In particolare, Solano, “in servizio all’ufficio Antifrode, fino al settembre 2021 quale addetto al ‘controllo scanner’ e successivamente quale addetto alla ‘visita merci’ fungeva da tramite fra il gruppo degli ‘esfiltratori'” della cocaina “e il gruppo dei doganieri corrotti”.

Secondo la Dda, diretta da Giovanni Bombardieri, il doganiere arrestato avrebbe garantito “la propria disponibilità, quella dei sodali Mario Pititto e Pasquale Sergio, a svolgere tutte le attività necessarie a consentire ai container contenenti cocaina di superare i controlli e lasciare il Porto di Gioia Tauro”. In questo modo “forniva indicazioni sulle metodologie di importazione più vantaggiose per il gruppo criminale, e più difficili da perseguire per l’Ufficio Dogane e per le forze dell’ordine”.

Per il tramite di un altro indagato, inoltre, Solano “indicava ai gruppi sudamericani le modalità di carico dello stupefacente più opportune per occultare la sostanza al passaggio allo scanner”. L’altro doganiere arrestato Mario Pititto e l’indagato Pasquale Sergio, infine, prendevano indicazioni da Solano e avrebbero alterato “gli esiti delle scansioni radiogene relative ai container di interesse del gruppo, non segnalando le anomalie emerse durante i controlli e consentendo ai container contenenti cocaina di venire ‘svincolati’ ed uscire dallo scalo portuale di Gioia Tauro”.

Dalle indagini condotte dal Nucleo di polizia economica e finanziaria-Gico della guardia di finanza di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di due funzionari delle Dogane, è emersa “la spavalderia criminale dimostrata” dagli indagati “nel corso delle vicende, che ha consentito loro di agire indisturbati nella alterazione dei controlli e nelle omissioni tese a celare il reale contenuto dei container pieni di droga”. È quanto scrive il gip di Reggio Calabria Giovanna Sergi nell’ordinanza di custodia cautelare che stamattina ha portato all’arresto in carcere per traffico di droga dei due funzionari dell’Agenzia delle Dogane in servizio al porto di Gioia Tauro, Antonio Pititto e Mario Giuseppe Solano, e ai domiciliari per una dipendente di una società di spedizioni, Elisa Calfapietra.

Un provvedimento restrittivo adottato perché, scrive il gip, “vi è il concreto e attuale pericolo che i tre, se non cautelati, commettano altri delitti della medesima specie di quelli per cui si procede o comunque proseguano nelle condotte delittuose in contestazione”. Nelle 800 pagine del provvedimento il gip evidenza il “coinvolgimento” dei due doganieri “in una pluralità di traffici illeciti di importazione”.

Secondo il giudice, il “materiale probatorio ha rassegnato un’allarmante attualità delle vicende associative”. “Del resto – si legge nell’ordinanza – l’esistenza di rapporti stratificati ormai da anni fra soggetti che operano all’interno di quell’Ufficio e soggetti che gravitano nell’ambito portuale e l’assenza di alcun ripensamento davanti alla massiccia presenza delle forze dell’ordine costituiscono espressione di una protervia criminale che promette il ripetersi di analoghi comportamenti”.

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