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Prestazioni mediche illegali a Catanzaro: 13 misure cautelari

Nella mattinata odierna, militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catanzaro e del Nucleo
Antisofisticazioni e Sanità dei Carabinieri, hanno dato esecuzione al provvedimento emesso dal G.I.P. presso
il Tribunale di Catanzaro, su richiesta della locale Procura, di applicazione di nr 13 misure cautelari personali e
nr 9 misure cautelari reali, nei confronti di nr 14 soggetti indagati, a vario titolo, per i reati di associazione per
delinquere, truffa aggravata ai danni dello Stato, accesso abusivo a sistema informatico o telematico, falsità
materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative, peculato, falsa
attestazione di presenza in servizio, emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio e
autoriciclaggio.
Nel dettaglio, per 5 dirigenti medici, 3 infermieri e 2 dipendenti dell’Ufficio ALPI (attività libero professionale
intramuraria) dell’A.O.U. “Renato Dulbecco”, nonché per un imprenditore operante nel settore della vendita di
dispositivi medicali è stata applicata la misura degli arresti domiciliari; nei confronti di un ex dirigente medico
dell’A.O.U. “Renato Dulbecco” per fatti commessi quando era ancora in servizio è stata applicata la misura non
detentiva dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; per un altro dirigente medico è stata applicata la
misura cautelare non detentiva del divieto di dimora nel comune di Catanzaro.
Con lo stesso provvedimento, Il Gip ha disposto il sequestro di circa un milione di euro complessivi nei
confronti di n. 8 dirigenti medici ed un imprenditore, in quanto ritenuto profitto di alcuni dei reati contestati.
Le articolate indagini – svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria/Gruppo Tutela Spesa Pubblica
Catanzaro della Guardia di Finanza e dal NAS dei Carabinieri di Catanzaro – che si sono articolate anche in
attività di intercettazione e di perquisizioni, hanno consentito di rilevare come n. 8 dirigenti medici dell’A.O.U.
“Renato Dulbecco”, con la complicità dell’ufficio ALPI, abbiano sistematicamente svolto, negli anni, attività
intramoenia allargata (ossia presso studi privati, siti al di fuori dei locali ospedalieri) in violazione della normativa di
settore, ossia gestendo in autonomia le visite, incassando dai pazienti – rigorosamente in contanti – il corrispettivo
per le prestazioni erogate e provvedendo a versarne nelle casse dell’azienda ospedaliera di appartenenza solo una
minima parte, in modo da dissimulare l’illiceità delle condotte perpetrate.
Tale meccanismo è stato reso possibile dal sistematico e “organizzato” apporto delle due funzionarie e del dirigente
(oggi in quiescenza) e dell’ufficio ALPI, i quali, ben consapevoli dell’illecita attività svolta dai professionisti, hanno
fornito loro aiuto concreto per portare a termine i propositi criminosi, sia provvedendo ad accedere al sistema
informatico dell’ospedale onde registrare ex post, con date fittizie, le prenotazioni delle poche visite che venivano
“regolarizzate” dai professionisti, sia indirizzando direttamente a questi ultimi i pazienti intenzionati ad avvalersi di
prestazioni sanitarie intramoenia.
In alcuni casi, è stato rilevato che i medici svolgevano attività intramoenia, sempre con la complicità dei componenti
dell’ufficio ALPI, durante l’ordinario orario di servizio, così contribuendo a non smaltire le liste d’attesa che,
notoriamente, si caratterizzano per essere estremamente lunghe.
Inoltre, è stato rilevato come due dei medici coinvolti si siano sistematicamente avvalsi, nello svolgimento della
loro attività intramoenia illecita, di infermieri dipendenti dell’Azienda ospedaliera di appartenenza, i quali sono
risultati pienamente coinvolti nell’attività illecita, agevolandola con specifiche condotte autonome, quali, ad
esempio, la riscossione – in contanti – dai pazienti del denaro relativo alle prestazioni sanitarie rese dai
professionisti.
Gli investigatori hanno anche riscontrato come uno di tali dirigenti medici abbia svolto, nel tempo, anche
interventi di cataratta abusivi, sia presso una clinica privata – i cui amministratori erano ben consapevoli
dell’illiceità della condotta del medico, legato da vincolo di esclusività all’A.O.U. Dulbecco – sia presso il suo
studio privato. A fronte di tali interventi, allorquando i pazienti richiedevano fattura, egli provvedeva a farla
emettere dai complici dell’ufficio ALPI, facendo loro rendicontare, tuttavia, una prestazione diversa, giacché gli
interventi chirurgici non avrebbero potuto essere svolti in regime intramurario. Inoltre, sempre lo stesso dirigente
medico – già attinto da ordinanza cautelare a gennaio del 2024 – con la complicità di due infermieri dipendenti
della sua stessa azienda e di un imprenditore cosentino, anch’essi attinti dalla prefata ordinanza, ha
sistematicamente impiegato – così come un altro dei dirigenti medici coinvolti – parte del denaro ritenuto
provento di reato nella sua attività professionale, perlopiù grazie ad un sofisticato sistema di emissione di fatture
per operazioni inesistenti. Le 2 società di capitali, che hanno consentito al medico di perpetrare una truffa ai
danni dell’A.O. di appartenenza e, una di esse, anche di reimpiegare il denaro provento dell’attività criminosa,
sono attualmente indagate per responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato, ai sensi del D. Lgs.
n. 231/2001.
Dati gli elementi raccolti, è stato possibile ipotizzare, nei confronti di n. 6 dei dirigenti medici coinvolti, la
sussistenza di un vincolo associativo che lega i medesimi con i componenti dell’ufficio ALPI, nonché con gli
infermieri che da essi utilizzati per lo svolgimento dell’attività professionale intramuraria “allargata”. Infine, è
emerso che uno dei dirigenti medici, già direttore dell’ufficio ALPI dell’A.O.U. “Renato Dulbecco”, il quale svolgeva
e svolge attualmente l’attività di Doping Control Officer e Blood Control Officer per conto della Federazione Medico
Sportiva Italiana, in ben n. 46 occasioni, ha prodotto documentazione (fatture per pasti, alberghi e spese di
viaggio), del tutto fittizia, onde ottenere indebiti rimborsi dalla citata Federazione. Parimenti, in numerose
occasioni, questi ha attestato falsamente la propria presenza in servizio, così procacciandosi un ingiusto profitto.

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