di Gaia Serena Ferrara
“Tutta la notte, ascolto passi sopra la mia testa”
Si apre così il monologo dell’attore Francesco Gallelli protagonista dello spettacolo dal titolo “Passi sulla mia testa”, di Fabio Butera e diretto da quest’ultimo e Luca Maria Michienzi, andato in scena ieri al Museo Marca di Catanzaro e realizzato ad opera della Compagnia del Teatro del carro.
Siamo nel 1912 nei pressi di un distretto tessile americano vicino Boston, quando scoppia uno sciopero operaio a causa della riduzione dell’orario di lavoro e quindi della paga. Alla manifestazione prendono parte tantissimi intellettuali, fra cui Arturo Giovannitti che viene ingiustamente accusato di omicidio e per questo imprigionato.
I passi dell’uomo nella cella diventano i protagonisti indiretti dello spettacolo e perno della sua vita, i cardini intorno ai quali ruotano i suoi pensieri e le sue riflessioni.
La performance è quindi tutta incentrata e giocata su questo apparente dualismo fra le riflessioni di un prigioniero e le memorie del suo passato fatto di libertà, di passione, di vita, di ideali e di valori. Un dualismo che alla fine si risolve nell’intima riconciliazione fra le differenti pulsioni dell’anima del protagonista, fra rassegnazione e liberazione.
“Sono esausto di contare quei passi”, passi che non portano alla libertà, perché diventano l’unica cosa a cui l’uomo riesce a pensare, l’ossessione della sua mente.
La storia di Arturo diventa la storia di tutta l’umanità, rappresentando quell’eterna dicotomia fra ideali e realtà, fra la lotta per la libertà e il silenzio di una cella scandito solo dai passi incessanti che abitano e rendono tumultuosa la mente dell’uomo.
Passi pesanti e vuoti dentro la sua testa vuota, concentrata solo a misurare lo spazio e la distanza fra il muro e la porta di ferro: 3 metri, quattro passi. Uno, due, tre, quattro.
“La mia mente è incatenata a quei passi, a quei piedi”.
E che fine fanno gli ideali di un uomo quando la sua mente è congelata su una piccola chiave d’ottone? Una piccola chiave d’ottone lucido che tiene gli uomini in pugno, e di quegli uomini tiene in pugno tutto quanto.
Ecco il momento in cui la storia e le riflessioni di un uomo diventano emblema di una condizione universale: siamo tutti alla continua ricerca di quella piccola chiave d’ottone, tutti destinati e testi a lottare contro la nostra stessa mente per tendere verso la libertà.
Tutti disperatamente tesi verso la stessa chiave, la stessa porta, la stessa uscita.