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Al via il 25 maggio il processo d’appello a Mimmo Lucano

Iniziera’ il prossimo 25 maggio il processo d’appello all’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, condannato lo scorso settembre dal Tribunale di Locri a 13 anni e 2 mesi di carcere al termine del processo “Xenia”. L’avviso e’ stato notificato a Lucano e agli altri 17 imputati dalla Seconda sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria.

Associazione a delinquere, truffa, peculato, falso e abusi d’ufficio: sono molti i capi di imputazione per i quali Lucano e’ stato giudicato colpevole nel processo di primo grado, nato da un’inchiesta della guardia di finanza sul “modello Riace” e sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti. La sentenza e’ stata contestata dagli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, difensori dell’ex sindaco, che nelle motivazioni d’appello parlano di “lettura forzata se non surreale dei fatti”. Per i legali, il Tribunale di Locri, presieduto dal giudice Fulvio Accurso, ha inteso “dichiarare a ogni costo responsabile Lucano” il cui obiettivo, piuttosto, “era uno solo ed in linea con quanto riportato nei manuali Sprar: l’accoglienza e l’integrazione. Non c’e’ una sola emergenza dibattimentale (intercettazioni incluse) dalla quale si possa desumere che il fine che ha mosso l’agire del Lucano sia stato diverso”.

Sempre nelle motivazioni d’appello i legali rilevano che in sentenza c’e’ stato un “uso smodato delle intercettazioni telefoniche, conferite in motivazione nella loro integralita’ attraverso la tecnica del copia/incolla”. Secondo gli avvocati, inoltre, molte intercettazioni sarebbero inutilizzabili per come stabilito dalla sentenza “Cavallo”, emessa nel 2020 dalle Sezioni unite della Cassazione che ne regola l’utilizzo solo in procedimenti connessi a quelli per i quali le stesse erano state autorizzate e “salvo che risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti per i quali e’ obbligatorio l’arresto in flagranza”. La Corte d’Appello dovra’ inoltre valutare il reato di associazione a delinquere contestato a Lucano e anche il cambio di capo di imputazione, da abuso d’ufficio a truffa aggravata, che ha fatto lievitare la condanna dell’ex sindaco di Riace per il quale la Procura di Locri, in primo grado, aveva chiesto 7 anni e 11 mesi di reclusione.

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