di Paolo Ficara – Senso di vuoto, di smarrimento e di impotenza. È ciò che resta dopo il verdetto del Consiglio di Stato, ulteriore timbro dopo i pronunciamenti negativi di un po’ tutti gli organi giudicanti. Per la prima volta in 109 anni di storia, la Reggina perde almeno due categorie in un colpo solo. Per la cifra risibile di 750.000 euro. Per essersi intestardita nell’ignorare le regole dello sport, puntando in maniera scellerata sul codice di crisi impresa. Al di là del fallimento pilotato del 1986, nel quale si conservò il titolo sportivo, la mancata iscrizione della Reggina Calcio nel 2015 comportò lo scivolamento dalla C alla D per la città di Reggio.
Un momento decisamente buio, quello del luglio 2015. Un default sfiorato di nuovo nel 2018, alle prese con una società che aveva lasciato il marchio e la storia in Tribunale, e si faceva prestare dal Gallico-Catona sia il campo d’allenamento che il detersivo per lavare le magliette. Poi l’arresto di Luca Gallo e quelle sei settimane di paura, tra il 5 maggio ed il 17 giugno 2022. Ma neanche in questi momenti, avremmo mai potuto immaginare di assistere alla farsa che ha mandato in frantumi la Reggina. Otto mesi in cui è stato perso tutto da parte di tutti: faccia, dignità, senso del pudore e percezione della realtà.
La Reggina non c’è più. E si tratta della stessa Reggina che, al giro di boa della Serie B 2022/23, era seconda in classifica. Il Frosinone primo era e primo è rimasto, con un paio di ritocchi nel mercato invernale. Il Genoa da terzo è salito come secondo. Il Bari era quarto e ha concluso terzo. Significa che i valori sono rimasti intatti anche nel girone di ritorno, nella zona alta. Gli amaranto si sono letteralmente spostati.
Sarebbe bastato prendere un portiere e rinunciare al proposito di accedere al codice crisi impresa, per andare in Serie A? Non abbiamo la controprova. Sappiamo però, attenendoci ad una logica imprenditoriale, che un ritorno in massima serie avrebbe consentito di cedere la Reggina ad almeno 30 milioni più i debiti. Possiamo solo immaginare che se il proprietario fosse stato un tifoso della Reggina, non avrebbe avuto dubbi sulla strada da seguire e sul rischio più romantico da prendere.
Altresì, non possono esserci dubbi su un fatto: quelle pochissime persone che al gol di Canotto in Reggina-Ascoli non sono saltate dal proprio seggiolino al “Granillo”, non sono tifose della Reggina. E gentilmente, non osino affermarlo mai più. Finti sorrisi, finti applausi. E magari uno stava pensando “mannaggia, ora devo pagare pure il premio playoff”; e l’altro chissà quale filastrocca aveva raccontato in federazione, per farsi restituire due punti sui sette totali di handicap.
Non è bastata neanche quella scena, per far capire alla gente con chi ha avuto a che fare. Tutto ciò che è venuto dopo, con il disastro annunciato dei quattro ricorsi perdenti, speriamo sia almeno servito a far comprendere che la colpa non è solo di uno o due soggetti. La presa per i fondelli verso un’intera piazza, circa l’illusione di poter ottenere ragione, è stata cavalcata da chi riveste ruoli di responsabilità o da chi ha indossato i panni dell’eroe più inutile della storia.
Mentre il clima in città attorno alla Reggina diventava sempre più nauseabondo, nelle ultime settimane, non ce l’abbiamo proprio fatta a seguire il campionato di Serie B. Personalmente, non conosciamo neanche i risultati delle prime due giornate già disputate. Siamo ancora attoniti dopo le varie puntate di una imbarazzante fiction. In cui l’unica componente inconsapevole, è rappresentata da una tifoseria ormai vista solo come bacino di voti. Sia da chi i voti li vuole, sia da chi li promette.
Dallo scorso 25 agosto, tutti i calciatori professionisti della Reggina sono virtualmente svincolati. Adesso interverrà la Figc, dopo il Consiglio di Stato, a sancirne lo status. Ma in ogni caso erano scaduti i 20 giorni dalla messa in mora: paradossalmente, anche con la Reggina ammessa in Serie B, entro la fine di settembre avrebbero potuto recedere dai rispettivi contratti.
Adesso c’è poco tempo per riflettere. Ripartenza dalla Serie D, sapendo che è complicato costruire una squadra vincente ad una settimana dall’inizio del campionato? Una più umile Eccellenza? O un anno senza calcio, prendendosi il tempo di coinvolgere più forze imprenditoriali su scala nazionale in ottica 2024? Ognuna di queste ipotesi, ripensando a quel secondo posto di dicembre, ci mette il magone. Di sicuro, avrebbe avuto molto più senso evitare questo ulteriore ricorso e guadagnare un mese di tempo.
Una scelta, quella di Palazzo San Giorgio, che richiederà freddezza. Ma in questo momento, prevale la tristezza. Anche sulla rabbia. Come primo commento dopo la definitiva estromissione della Reggina dal professionismo, abbiamo scelto un articolo senza nomi. Ci sembra il giusto commiato. È altrettanto giusto, oltre che necessario, sforzarsi di inquadrare quanto di più squallido accaduto nelle ultime settimane. Un inverecondo teatrino che ci siamo rifiutati di riportare sulle nostre pagine, preferendo il silenzio in attesa del verdetto finale. Concedeteci qualche ora. Noi sì, veniamo da notti insonni.