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Fuori gli ultras dagli stadi

di Claudio Cordova – Poche aggregazioni umane (anche se, come vedremo, quest’ultimo aggettivo, in realtà, non è così azzeccato) toccano livelli così bassi come quelle del tifo organizzato. Indistintamente, in tutta Italia. A ben vedere, gli standard più infimi – in termini sociali, culturali, intellettivi e morali – che l’antropologia possa aver fin qui investigato probabilmente si trovano nella maggioranza di chi si definisce (spesso orgogliosamente) ultras.

Anche l’ultima inchiesta condotta dalla Dda di Milano sui legami tra le tifoserie di Inter e Milan e la ‘ndrangheta, offre uno spaccato chiarissimo su come i gruppi organizzati non solo siano notoriamente vicini alle cosche, ma che spesso ne ripercorrano le dinamiche. Questi ominidi, spesso, si riempiono la bocca di “mentalità”, che altro non è se non un modo deviato e settario di vivere non di certo il calcio e lo sport, che con gli ultras non c’entrano nulla, quanto tutto il sottobosco del mondo dello stadio.

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Che è un modo sordido e subdolo, in cui si creano rapporti di forza, spesso, evidentemente, per comandare fette di mercato illecito, tanto nella zona dei campi sportivi, quanto in aree anche vaste, soprattutto di grandi città, come Milano, Roma o Torino.

Non sono isolati, anzi, i casi che legano il mondo delle curve alla criminalità organizzata e, soprattutto negli ultimi anni, alla ‘ndrangheta. Anni fa un’inchiesta svelò, almeno in termini relazionali, le dinamiche interne ed esterne all’ambiente Juventus, con una città, Torino, che, notoriamente, ha visto una forte presenza ‘ndranghetista, fin dagli anni ’70.

All’inizio del mese di settembre, poi, l’omicidio del rampollo di ‘ndrangheta Antonio Bellocco, non nella sua Rosarno e nemmeno in Calabria, ma proprio in Lombardia, ha svelato, ancora una volta, come mondi così simili, così affini, per il culto della violenza, ma non solo, non possano che essere dei vasi comunicanti. L’inchiesta milanese ci mostra, però, non solo come tifo organizzato e cosche vadano a braccetto per ciò che concerne gli affari. Ma, soprattutto, che per farli proliferare, gli ultras non facciano altro che riproporre dinamiche tipicamente mafiose.

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Per esempio, per ciò che concerne il racket delle estorsioni. L’inchiesta milanese, infatti, avrebbe svelato una “alleanza” tra le curve degli ultrà interisti e milanisti nei traffici illeciti anche con infiltrazioni della ‘ndrangheta. In particolare, per ciò che concerne i servizi di catering relativi allo stadio di San Siro. Estorsioni e richieste di “pizzo” nei confronti degli ambulanti che vendono panini e cibo fuori dal Meazza, oltre ad una serie di pestaggi e cosiddetti “reati da stadio”.

Ed è noto come le cosche di ‘ndrangheta, su territorio calabrese, ma non solo, spesso mettano da parte gli attriti e le faide del passato, in nome degli affari. Si pensi, solo per citare un esempio, come i clan in lotta nella seconda guerra di ‘ndrangheta di Reggio Calabria e della sua provincia, da diversi lustri, ormai, abbiano scelto la strada della pax mafiosa, per favorire gli introiti. E questo stringendo accordi anche tra famiglie che, negli anni più sanguinosi, hanno cercato di sterminarsi vicendevolmente.

Proprio mutuando questo meccanismo criminale – sempre stando a quanto emerge dall’inchiesta –  si assisterebbe a un “patto di non belligeranza fra le due tifoserie organizzate, a prima vista connesso ad una tranquilla gestione della vita di stadio ma, a ben vedere, caratterizzato da legami fra gli apicali esponenti delle curve al fine di conseguire profitto, in un contesto in cui la passione sportiva appare mero pretesto per governare sinergicamente ogni possibile introito che la passione sportiva vera, quella dei tifosi di calcio, genera”.

Dunque, non tifoserie avversarie (come sarebbe normale nei derby), ma gruppi solo apparentemente contrapposti, in nome del denaro. In particolare, per quanto riguarda la Curva dell’Inter appare “un quadro fosco” nel quale “interessi di natura economica, speculazioni e condotte delittuose ascrivibili all’ordinaria dinamica degli stadi si coniugano con un fattore di recente emersione (ma già segnalato dalla relazione della Commissione Parlamentare Antimafia dell’anno 2017): le attenzioni della ‘ndrangheta sul mondo del tifo organizzato”. Il parallelismo tra mondo ultras e cosche è chiarissimo, stando a quanto messo nero su bianco nelle carte d’indagine, dove si parla di “potere intimidatorio della Curva (Nord ndr) capace di spingere, addirittura il club a non favorire alcuna categoria di tifosi pur di non scontentare gli ultras poiché essi, in caso contrario sarebbero capaci di reazioni violente”.

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Vale a Milano, come in altre città. Se si pensa, solo per fare un esempio, come il quartiere Fleming di Roma sia letteralmente disseminato di scritte, immagini, murales, che celebrano Fabrizio Piscitelli, alias “Diabolik”, il capo ultrà della Lazio assassinato come il boss che era, probabilmente per la sua gestione dei traffici di droga nella Capitale.

Nel clima buonista e politicamente corretto che anche a livello intellettuale vige nel nostro Paese, gli ultras vengono spesso indicati come il motore della passione che anima il mondo del calcio. Quando, invece, non sono che il cancro del movimento stesso, che impedisce al movimento sportivo di fare un salto di qualità che potrebbe essere anche economico, rendendo gli stadi (riammodernati, evidentemente) dei luoghi per famiglie, dove poter creare anche ricchezza.

Gli ultras sono, assai spesso, scimmie non scolarizzate che fanno costantemente spregio non solo delle regole, ma anche dello stesso vivere civile. Il loro vivere settario, al grido di “libertà per gli ultrà”, è qualcosa che non può che andare contro i principi della Costituzione, che sanciscono il diritto di libera associazione. Le aggregazioni di tifosi, dunque, andrebbero vietate, proprio come le leggi sono intervenute, negli anni, sulla ricostituzione del Partito Fascista, sui gruppi terroristici e, dopo lo scandalo della P2, sulla massoneria e le sue logge coperte.

Per togliere così il potere decisionale a gruppi di violenti, dove la scalata al potere non può che muoversi anche e soprattutto per brama economica. In un abbraccio con le cosche che, ormai, è un dato più che consolidato.

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