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Carpignano autore di un nuovo verismo con il film “A Chiara”: lo specchio rovesciato del sistema-famiglia calabrese

di Lavinia Romeo – “Pape Satàn Pape Satàn aleppe”  urla il Pluto infernale pronunciando uno tra i più controversi ed enigmatici cruces danteschi. E questo mostro latrante, posto a guardia del girone degli avari (l’avarizia è per Dante radice primaria di tutti i mali e causa del disordine morale) è forse la metafora migliore per raccontare un’altra simbolica discesa agli inferni con biglietto di ritorno.

Chiara, protagonista del bellissimo film di Jonas Carpignano “A Chiara” (che conclude la trilogia su GioiaTauro dopo “Mediterranea” e “A Ciambra”) vive una vita apparentemente ordinaria, è un’adolescente moderatamente ribelle circondata da tanti amici e da una grande famiglia.

Carpignano si conferma abile maestro di un nuovo verismo scegliendo come protagonisti dei non attori. La bravissima Swami Ruotolo (fresca vincitrice del David di Donatello come miglior attrice protagonista) e la sua famiglia divengono il centro del sapiente obiettivo del regista che si insinua, restando invisibile, nella loro quotidianità. La scena iniziale vede la famiglia festeggiare il compleanno della figlia maggiore, e mentre Carpignano pedina gli attori con primissimi piani, il racconto di formazione della giovane Chiara inizia a condirsi di sporadici assist interpretativi che il regista rivolge allo spettatore.

E’ una scena lunga, che avrebbe certamente meritato una sfoltitura in fase di montaggio, che riesce però ad introdurci verso un racconto schietto, senza retorica “l’unico modo di raggiungere l’universale è essere precisi, intimi, locali” – ha detto Carpignano parlando del suo film – in cui ci invita a cercare la verità dietro l’apparenza perfetta di questo “ritratto di famiglia”.

E la dimensione covert della storia non tarda a palesarsi ed ha il fragore dello scoppio di una macchina fatta saltare in aria nella notte. Il padre della protagonista scappa di casa trasformando quella marea di dettagli lasciati trapelare nei margini del racconto in sostanza, anzi, in un’azione folgorante che risucchia Chiara in quel mondo nel sottosuolo, nel mondo sommerso del “non detto” che comincia a rivelarsi di fronte ai suoi occhi.

Quel padre mite, apparentemente inadeguato al ruolo di genitore, è in realtà un galoppino della ‘ndrangheta, manovalanza utile per smistare cocaina nel traffico di droga transnazionale delle ‘ndrine. Chiara lo scopre, si stranisce e sprofonda mentre rovista nel bunker sotto casa, alternando queste discese negli inferi col ripetersi “compulsivo” delle sue attività quotidiane.

Il bunker, il retrobottega, così come il nascondiglio tra le montagne in cui si rifugia il padre di Chiara hanno un’insistenza metaforica evidente, sono la porta di passaggio per entrare “tra la perduta gente”, dentro quei traffici illeciti da centinai di migliaia di euro.

Chiara vive queste esperienza abbandonandosi, a tratti, in una dimensione onirica. E’ una soggettiva inconscia già usata da Carpignano in “A Ciambra” che porta la ragazza ad avere una deformazione fantastica degli eventi con delle visioni sibilline e una percezione sonora alterata, sono i fantasmi della mente che riaffiorano nella notte ed il punto di innesco con l’altro universo.

E Chiara, che non ha paura, va a fondo, sembra quasi rapita da quella “educazione criminale” fornita da padre che le domanda mentre la invita ad aprire una valigia piena di banconote: “E’ tanto brutto questo lavoro?” rivendicando la legittimità di una scelta dettata, a suo dire, dal bisogno.

E mentre la seconda parte il racconto comincia a soffrire di alcune cadute di sceneggiatura e del dilettantismo recitativo degli attori, si compie un’apparente crasi con quell’ecosistema corrotto. Dinamiche e leggi ataviche provano ad inghiottire Chiara che, a sorpresa, tira la testa fuori dal bunker decidendo di riappropriarsi dell’agognata libertà individuale.

Chiara si allontana volontariamente dal nucleo familiare aderendo al programma di tutela del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria. E’ un cortocircuito che la porta in un’altra vita, specchio rovesciato del sistema-famiglia calabrese, un metaverso felice dove esiste un’altra Chiara, affamata di libertà e di vita.

 

 

 

 

 

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