Il 20 settembre scorso, presso il teatro Manfroce di Palmi, si è svolto il convegno, molto partecipato, organizzato dalla Camera Penale di Palmi su un tema estremamente rilevante e complesso quale “la condotta partecipativa all’associazione mafiosa, tra diritto penale e processo”.
Dopo gli indirizzi di saluto di Emanuele Crescenti (Procuratore della Repubblica di Palmi), di Angelina Bandiera (Presidente di sezione presso il Tribunale di Palmi), di Dott. Francesco Petrone (Presidente Corte di Assise di Palmi), di Daniela Bellocco (vice Presidente Consiglio dell’Ordine Avvocati Palmi), di Francesco Cardone (Presidente del Consiglio Comunale di Palmi) e di Giuseppe Milicia (Presidente Camera Penale di Palmi), i lavori del convegno sono stati introdotti da Letterio Rositano (referente della Commissione giusto processo della Camera Penale di Palmi).
A seguire sono intervenuti i relatori Stefano Musolino (Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria), Vincenzo Maiello (prof. ordinario di diritto penale presso l’Università di Napoli Federico II), Francesco Jacinto (Presidente di sezione presso il Tribunale di Palmi), Pier Paolo Emanuele (penalista).
Dopo le relazioni vi sono stati gli interventi programmati di Luca Cianferoni (penalista del Foro di Roma) e quello conclusivo di Domenico Infantino (penalista del Foro di Palmi). Il dibattito è stato condotto e moderato da Armando Veneto (già Presidente del Consiglio delle Camere Penali Italiane).
Al centro dei lavori la complessa problematica della individuazione degli elementi costitutivi della condotta di partecipazione alla associazione mafiosa, a quaranta anni di distanza dalla sua introduzione nel nostro ordinamento giuridico. Nella applicazione di tale reato si sono infatti registrati diversi e contrapposti indirizzi giurisprudenziali in un quadro di preoccupante incertezza dovuta, secondo le voci più autorevoli della dottrina, al vizio genetico di insufficiente determinatezza normativa nella descrizione dei connotati che deve avere una condotta per integrare il grave delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso. Al riguardo, nel panorama della giurisprudenza della suprema Corte di Cassazione si è rilevata sia l’adesione al cosiddetto “modello organizzatorio”, in virtù del quale il delitto è integrato dalla mera appartenenza senza che sia necessario il compimento da parte del partecipe di apprezzabili contributi alla vita del sodalizio, sia la condivisione del contrapposto modello “causale” che impone invece la sussistenza di atti concreti di rafforzamento del gruppo criminale.
Da ultimo le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza Modafferi (intervenuta su una vicenda processuale peraltro pendente davanti al Tribunale di Palmi) hanno stabilito come la mera affiliazione formale (provata anche tramite il c.d. giuramento rituale), pur potendo a determinate condizioni costituire un grave indizio, da sola non sia sufficiente ad integrare l’ipotesi di reato di partecipazione ad associazione mafiosa.
Nel corso del convegno è stato ravvisato come le indiscutibili esigenze di tutela dell’ordine pubblico dalla aggressione di gravissimi delitti quale quello di associazione mafiosa debbano in ogni caso essere parametrate ai principi costituzionali di materialità e di necessaria offensività del fatto penalmente punibile. Così come dal principio di legalità consegue che i cittadini debbano essere messi nelle condizioni di sapere e comprendere con esattezza quali siano le condotte dal compimento delle quali devono astenersi, senza margini di incertezza che non possono essere colmati dalla giurisprudenza creativa. In mancanza di un intervento del legislatore volto a puntualizzare meglio i contorni del fatto partecipativo alla associazione mafiosa si auspica che la giurisprudenza interpreti la norma nel massimo ossequio dei principi costituzionali. Inoltre, per altro versante della tematica, su un livello preventivo, è stato rappresentato come il perseguimento di delitti che condizionano intere comunità come l’associazione di stampo mafioso debba iniziare su un piano culturale, ancor prima che su quello giudiziario. Agli atti del convegno è stata acquisita una relazione redatta dall’avvocato Natalia Praticò su incarico della Commissione Giusto Processo della Camera Penale di Palmi.