Fu una vendetta della ‘ndrangheta covata per 40 anni l’omicidio di Giuseppe Gioffrè, il pensionato di 77 anni che l’11 luglio 2004 fu ucciso a colpi di pistola in un giardinetto davanti alla sua abitazione di San Mauro Torinese. Questa è la ricostruzione della pubblica accusa nel caso giudiziario giunto al vaglio della Corte di assise di appello del capoluogo piemontese, dove oggi il pg Marcello Tatangelo ha chiesto la conferma delle condanne a trent’anni di carcere pronunciate in primo grado per i due imputati.
Negli Anni Sessanta Gioffrè gestiva una rivendita di alimentari a Sant’Eufemia di Aspromonte (Reggio Calabria), che disturbava le attività commerciali di un club locale, e nel corso di un litigio uccise due persone. Mentre scontava la pena in carcere gli furono uccisi la moglie e il figlio.
Una volta tornato in libertà, del 1976 si trasferì in provincia di Torino, dove si risposò e trovò occupazione. Pochi mesi dopo il suo omicidio, fu arrestato un primo indagato, poi condannato a 21 anni.
Nel 2022 le indagini furono riaperte e corroborate dall’utilizzo di nuovi sistemi informatici e dall’esame del Dna presente su una bottiglietta trovata vicino a un’auto che i killer avevano dato alle fiamme. I due imputati di oggi sono Giuseppe Crea e Paolo Alvaro, che in primo grado erano stati giudicati separatamente e la cui posizione è stata riunita dalla Corte di assise di appello.
Il pg Tatangelo ha dichiarato “non condivisibile” la decisione di concedere attenuanti generiche.