Riceviamo e pubblichiamo:
Il concetto di sovranità alimentare è connesso con le scelte politiche da compiere per assicurare le misure più idonee a garantire il diritto all’alimentazione nel rispetto di fattori ambientali, economici, sociali e culturali di un popolo. A ben vedere, si tratta di un concetto complesso, che è stato richiamato per molteplici finalità, ma soprattutto per difendere i piccoli produttori e proporre un diverso paradigma, evidenziando le criticità delle politiche commerciali della globalizzazione e della liberalizzazione dei mercati agricoli. Questo diverso modo di concepire il futuro dell’agricoltura e dell’alimentazione ha trovato breccia anche all’interno di molte agenzie di sviluppo e organizzazioni internazionali, e si pone, con sempre maggiore forza, come modello alternativo che rivendica un maggiore spazio di approfondimento. Fa piacere la mozione dei consiglieri comunali Quartuccio e Novarro che individuano nella lotta allo spreco alimentare una risorsa per implementare sul territorio cittadino una “Urban Food Politicy”.
Tuttavia, il dibattito che è sorto intorno al concetto di sovranità alimentare e di diritto al cibo è destinato inevitabilmente ad avere ripercussioni, ponendo al centro delle politiche alimentari più recenti, aspetti che non possono essere compresi se si considera il cibo solo come merce, senza valorizzare il lavoro dei piccoli produttori e l’interazione con i consumatori. Inoltre, va ricordato che uno degli aspetti più importanti della sovranità alimentare è connesso con il controllo delle risorse da parte dei produttori locali. Questo scenario apre interessanti spunti sulla stesura del nuovo capitolato d’appalto per la mensa scolastica.
Ed è proprio la mensa scolastica, attraverso il settore istruzione e di concerto con la Commissione mensa, che può e deve essere il maggiore protagonista sul versante della lotta agli sprechi alimentari e il recupero delle eccedenze, ma non solo, potrebbe essere l’occasione utile per rivedere le modalità di fornitura degli alimenti da somministrare ai bambini ed ai ragazzi delle scuole, privilegiando il Km zero, il biologico, menù più rispettosi dell’ambiente, aiutando così anche i produttori locali in un’ottica di economia circolare. È un’occasione utile, anche, per stilare nuovi progetti di educazione alimentare dove i fruitori del servizio di ristorazione scolastica possano, attraverso l’acquisizione di nuove conoscenze e competenze, trasmettere in casa stili di vita salubri e rispettosi dell’ambiente a partire proprio da una consapevole e matura scelta di cibi che possa contrastare gli sprechi.
Sulla lotta agli sprechi alimentari, da anni ormai, organizzazioni di volontariato come Banco Alimentare e Caritas e tante altre associazioni si muovono verso una prospettiva che restituisce dignità al cibo, non solo inteso come mero bisogno fisiologico per la sopravvivenza, ma anche e soprattutto, come bene inalienabile e diritto di tutti. Già da diversi anni i Tecnologi Alimentari, grazie ad un protocollo d’intesa siglato a Roma tra l’Ordine nazionale dei tecnologi alimentari (OTAN) e la Fondazione Banco Alimentare Onlus, operano in tutta Italia promuovendo azioni di recupero e distribuzione delle eccedenze lungo tutta la filiera agroalimentare. L’intesa fu sottoscritta alla presenza dell’onorevole Maria Chiara Gadda, firmataria della legge 166/16 contro gli sprechi alimentari e farmaceutici, a margine del convegno Evitare lo spreco alimentare e favorire l’economia: proposte e buone pratiche a confronto. Oltre la ristorazione collettiva, uno settore da non sottovalutare è rappresentato dalla ristorazione privata (bar, ristoranti, pizzerie, tavola calda) perché è proprio qui, che implementando un sistema di organizzazioni di volontariato, si può recuperare un enorme avanzo di cibo non ancora somministrato alla clientela.
Si potrebbe evitare così che un avanzo alimentare possa essere riutilizzato per il giorno dopo (naturalmente da imprenditori poco coscienziosi) e che qualche volta potrebbe essere “rifilato” al mal capitato ignaro di consumare un pasto per così dire “risanato”. Oltretutto vale ancora l’aspetto legato alla riduzione della TARI per gli esercenti che donano in beneficenza il cibo non venduto ma ancora idoneo al consumo umano. L’aumentare della povertà e della marginalizzazione sono evidenti indici del fallimentare sistema politico-economico messo in atto col post-fordisimo e, nello specifico, della crisi del welfare (vedasi i lavori di Huber, Stephen, 2001) inteso come pratica di protezione sociale del cittadino. Ossia ancora una volta non si è trovato riscontro reale in quella ricerca continua di democrazia, intesa come libertà, sia nel suo senso positivo, libertà di, sia nel suo senso negativo, libertà da (Sen, 2007) di ogni suo membro, della comunità. A questo fenomeno si associa anche la negativa esternalizzazione legata alla produzione di cibo ed al suo smaltimento che stanno compromettendo seriamente il sistema e l’equilibrio non solo sociale ma anche e soprattutto ambientale.
Bene, dunque, porre attenzione al cibo non solo come sostegno per la vita ma anche e soprattutto come simbolo di uguaglianza e socializzazione, scambio di culture tra i popoli, fonte di benessere non solo fisico e psichico ma anche sociale, Il diritto ad un cibo sufficiente deve essere, però, anche il diritto ad un cibo adeguato, come sancito dall’art. 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite del 16 dicembre del 1966, cioè corrispondente alle tradizioni cui appartiene la persona, ed idoneo ad assicurare una vita piena, dignitosa e libera dalla paura, non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche psichico, individuale e collettivo.