“L’indifferenza è il peso morto della storia” - Antonio Gramsci
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A un amico

di Mariagrazia Costantino – L’estate è triste per definizione. Perché quando tutti cercano di essere felici, o almeno di sembrarlo, si consuma il dramma silenzioso della scontentezza e della solitudine, che riguarda ogni essere umano dotato di coscienza.

Un’altra cosa che riguarda tutti è la morte, anche se ci impegniamo con grande zelo a evitarne il pensiero, facendo di tutto per allontanare l’idea di ciò che è ineluttabile e solitamente imprevedibile.

Poi succede che si muore anche d’estate, e poche cose sono crudeli come una morte in agosto, per chi va e per chi resta. Ad agosto è tutto chiuso, a volte sembrano chiusi anche i cuori e le menti. Io voglio lasciare la mia aperta al dolore. “Siamo aperti tutto il mese, festivi compresi.” Il lutto e il dispiacere devono poter trovare posto, perché il ricordo arriva con loro e se li respingiamo, respingiamo anche chi non c’è più.

Quando muore una persona, si impone una retorica (per lei) inedita di formule che la rendono astratta e lontana. Perché se da vivi siamo tutti diversi, da morti diventiamo tutti uguali, cristallizzati in un’asettica perfezione. Ma perché non proviamo a parlare di chi e di come questa persona era da viva?

L’essenza di qualcuno la cogliamo in certi attimi fugaci che sta a noi catturare. Non è nella quotidianità che logora e fa sbiadire le cose – ma che se si ha pazienza serve anche a costruire il futuro – che si conosce una persona. È nel guizzo dell’attimo, nel lampo di un pensiero veloce come un battito di ciglia. È in quell’attimo, nella frazione di secondo in cui si forma un’espressione, che ho conosciuto e forse capito Andrea.

Faccio fatica a parlare di lui come di chi non c’è più, perché di fatto Andrea c’è, nella traccia profonda e discreta che ha saputo lasciare. Andrea era intelligente, sensibile, acuto, spiritoso (caratteristica sempre più rara). E (purtroppo) fragile come tutti.

La Cina ci aveva avvicinati: anche lui si era innamorato di questo paese così impenetrabile eppure così facile da apprezzare, perché a sua volta pieno di vita.

Andrea amava l’arte contemporanea, la musica elettronica minimalista, il trip hop e il neo-soul. Amava i musicisti africani come Fela e Seun Kuti (mi rammarico di non avergli mai parlato dei Tinariwen).

Un’altra passione in comune era il cinema – quello di Wong Kar-wai in modo particolare. Il suo film preferito era Chungking Express, coinvolgente e geniale senza essere chiassoso, proprio come lui.

Cosa non da tutti, Andrea apprezzava il presente e il suo valore. Notava i piccoli dettagli che fanno la differenza, quelli in cui si nasconde Dio (contrariamente al detto comune). Vedeva tutto e a tutto dava la giusta importanza, perché tutto è importante.

Una volta, in visita a Palermo per vedere Manifesta e i capelli rosa di Letizia Battaglia, si fermò a studiare il lungo testo che accompagnava un’istallazione. Pagine e pagine di ricerca concettuale e alla fine i contatti dell’artista, che lui chiamò senza pensarci due volte, perché era rimasto colpito dal suo lavoro e voleva dirlo, voleva fare domande (Andrea era curioso e faceva un sacco di domande, marchio di fabbrica della persona intelligente). Chiacchierò con lei per diversi minuti, in un inglese impeccabile, divertendo chi lo ascoltava con osservazioni brillanti e pertinenti, non temendo neanche per un secondo di essere inopportuno o fuori luogo. Perché non lo era, e stava facendo l’unica cosa che aveva senso in quel momento: parlare con l’artista e approfondire le sue ragioni.

Era un lettore onnivoro e si appassionava di argomenti a volte ostici ma sempre interessanti, come il diritto d’autore nelle arti visive. Aveva letto e riletto Anna Karenina, perché era affascinato dalla descrizione fatta da Tolstoj dei rapporti umani, ma soprattutto perché apprezzava la bellezza in tutte le sue forme.

Andrea amava nuotare, sapeva andare sullo skateboard e si tuffava come un delfino. Si era da poco avvicinato allo yoga, che gli piaceva parecchio. Gli piaceva sentirsi libero, ed è così che spero si sia sentito fino alla fine.

Era una di quelle rare persone che non si sono spente con l’andare del tempo, perché non aveva rinunciato a nutrire l’anima: per farlo si dedicava a nuove passioni, continuando a coltivare le vecchie.

Dire che quando muore una persona cara muore una parte di noi è un luogo comune, ma uno di quelli belli. E forse non muore veramente, ma va in un luogo segreto in avanscoperta, per esplorarne le meraviglie per noi.

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