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“Caracas”, una storia di comprensione nel buio e nella luce di una campana Gotham City: Marco D’Amore e Toni Servillo al cinema Citrigno di Cosenza

di Roberta Mazzuca – “Caracas”. Un film conturbato da luci e ombre, diviso tra realtà e finzione, impregnato di contrapposizioni e complementarietà. Quelle degli stessi “personaggi che si moltiplicano come manifestazioni di un’unica città”. Caracas, un militante di estrema destra che sceglie di convertirsi all’Islam. Giordano Fonte, uno scrittore partenopeo tornato a Napoli dopo diversi anni di lontananza. E Yasmina, oggetto di un amore impossibile. A parlarne ieri sera insieme al pubblico, in un’affollata sala del cinema Citrigno di Cosenza, proprio il regista Marco D’amore, accompagnato da Toni Servillo, che in “Caracas” interpreta il ruolo di Giordano Fonte.

“Ciascun personaggio – spiega D’Amore – è una delle infinite possibili visioni della città. Giordano rappresenta la condizione di chi oggi non riconosce più il posto in cui vive, così come Yasmina rappresenta la Napoli bellissima che si fa male da sola tutti i giorni, e invece Caracas è questo disperato che cerca di trovare un posizionamento a tentoni nel mondo, sbagliando continuamente e passando da un estremo all’altro”.

“All’origine del film c’è un magnifico romanzo di Ermanno Rea, che si racconta in prima persona” – spiega Servillo. “Lo scrittore è lui medesimo a vivere questa avventura, e dichiara nel romanzo che si sente ‘perduto’, ‘smarrito’, anche nel processo della scrittura. Nell’incontro improbabilissimo con una persona così diversa da lui come Caracas, nello stabilire una solidarietà che più paradossale non potremmo immaginare, diventa da scrittore della realtà, una ‘macchina dei sogni’. E in questi sogni si perde. Marco mi ha chiesto la stessa cosa nel film”. La fragilità, il senso di smarrimento, la costante sensazione di essersi perduto: nella città, nel suo passato, nella ricerca di se stesso, nel processo della scrittura stessa. Questo descrive Servillo come l’aspetto, o meglio “la tinta” che lo ha più affascinato nell’interpretazione del suo personaggio.

Toni Servillo e Marco D’Amore presentano “Caracas” al cinema Citrigno di Cosenza

“Ho rintracciato in questo testo un incredibile processo di avvicinamento di diversità” – prende poi la parola il regista in riferimento ancora a “Napoli Ferrovia” di Ermanno Rea, l’opera da cui la pellicola è tratta. “Questi due essere umani che quanto più diversi non potrebbero essere, e che invece compiono un percorso di comprensione reciproca”.

“Mi interessava molto poter spingere le passioni dei protagonisti di questo film agli estremi, – continua – e infatti dico sempre che questo non è un film di estremismi, perché non propone un’antologia del fascismo o dell’islam, ma l’esperienza di un uomo che spinge la propria vita all’estremo delle passioni per cercare di sentire un battito che lo tenga vivo. Poi mi è sembrato di intercettare nella scrittura di Rea delle crepe, quasi a mettere in discussione in maniera molto velata la veridicità di questo incontro. E mi piace moltissimo l’idea di riuscire a costruire delle ‘derive’ a partire dalla cronaca della vita. In questo caso un ponte che dalle nuvole dice allo spettatore di provare anch’egli a sospendersi da terra e a lasciarsi andare”.

Uno struggimento di cui Napoli, la città in cui il film è ambientato e di cui racconta, si carica, producendo un turbinio di forti contrasti attraverso le voci di contrapposte anime. “Un film in cui si cerca in maniera disperata la luce, e per farla vedere devi stare al buio” – precisa D’Amore. Esistenze, dunque, che si muovono nel buio alla ricerca della luce, nell’ombra resa visibile dal sole, nell’illusione lumeggiata dalla realtà: “Sono personaggi anch’essi periferici, scansati dalla comunità, e quindi non possono stare alla luce, non sarebbe coerente con la loro esistenza. E poi il buio favorisce tantissimo i contrasti e ci mette nella condizione di poter lavorare su questo mistero delle apparizioni, delle cose che ad un certo punto spariscono perché vanno a finire in degli anfratti, come il ragazzino che gli ruba la borsa. Dove si è perso? In quale angolo buio?. E poi il buio era necessario per dare un look alla città che fosse lontano dagli stereotipi, per calarla nelle tenebre come una campana Gotham City”. “Sulu ca un ce stev Batman, ce stev Caracas” – conclude tra le risate generali.

“Il corpo lo puoi mettere in scena quando hai questi po’ po’ di corpi” – le parole ricolme di stima di D’Amore in riferimento al suo rapporto con il maestro Servillo. “Corpi che riescono a stare in scena non solo sul primo piano, ma dal collo fino alla punta dei piedi”. “Regista è colui che sa circondarsi di persone che ritiene migliori di lui”– ribatte Servillo citando il regista e sceneggiatore cecoslovacco Miloš Forman. “Marco ha saputo fare questo film perché ha saputo governare questa barca. Il fatto che noi due eravamo insieme nel film, considerata anche la nostra relazione che credo si veda anche in questa semplice circostanza, ha aiutato ad aggiungere un pizzico di sale”. Il racconto di Caracas e Giordano dunque. Che è un po’ anche il racconto di D’Amore e Servillo. E allora chissà come sarebbe stato quel Caracas senza quel Giordano Fonte, e come sarebbe stato questo Marco D’amore senza Toni Servillo.

Ironici, divertenti, professionali. Raccontano e si raccontano al loro pubblico, D’Amore e Servillo, traendo dalle impressioni dello spettatore nuovi e inediti spunti di riflessione. “Ho visto il film come il racconto di un tormento” – commenta uno spettatore dalla platea. “Un tormento nel tentativo dei vari personaggi, che non arrivano mai in maniera compiuta a fare quel salto verso Dio, un Dio che sta anche nell’incontro di culture diverse. Prima di venire qui oggi ho ascoltato una notizia devastante: un barcone è rimasto in mare per una settimana, 60 persone sono morte, senza che nessuno si accorgesse o che desse la giusta attenzione a questo fenomeno. Voglio dunque chiedere a Marco D’amore se in questo tormento c’è anche un messaggio a questi strazianti fenomeni che purtroppo siamo costretti a vedere solo in televisione e che stanno suscitando in noi la distrazione perché li sentiamo senza riuscire a fare nulla”.

“Quelle persone stanno nel buio come Caracas, come Yasmina, come quella fetta della città, come quelle comunità che solo la luce di chi scrive e di chi decide di raccontare può portare in superficie” – risponde D’Amore. “Quindi tu stasera hai dato luce a quella storia raccontandola a noi, hai fatto il Giordano Fonte di quello strazio in mare. E poi sicuramente il fatto che tu abbia potuto cogliere questo, significa che il film agisce. E se il cinema riesce a fare questo, sempre di più si potrà dare luce alle minoranze”.

Toni Servillo al cinema “Citrigno” di Cosenza

Alla fine, comunque, Caracas è soprattutto una storia di comprensione, perché “attraverso la vicinanza a storie così diverse dalle sue, – afferma il regista – Giordano Fonte riesce a capire non solo che senso abbia la sua presenza a questo mondo e che efficacia abbiano ancora gli strumenti del suo raccontare. Ma soprattutto riesce a regalare a quell’essere umano a cui si approssima nell’ultima scena la possibilità di capire che dietro i fanatismi, le ideologie, le idolatrie, le ricerche affannose di chissà quale verità, la luce di Dio sta qua, sta in uno che a un certo punto ti tocca quando stai male, che ti fa una carezza. Lo riconosci in quello sguardo che non ha la verticalità verso Dio ma ha l’orizzontalità verso gli esseri umani”.

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