-di Gaia Serena Ferrara-
“Di vento e d’Aurora” è il nuovo romanzo della docente e scrittrice calabrese Rossella C. Nunziata, edito da Le Trame di Circe nel 2023.
Originaria di Rovito (Cosenza), per anni si dedica all’insegnamento di storia e italiano presso istituti superiori, fino ad arrivare a fornire (in quanto autrice) una serie di contributi letterari contemporanei attraverso la pubblicazione di romanzi e raccolte di poesie.
E’ però con il suo ultimo romanzo “Di vento e d’Aurora” che la Nunziata compie un importante balzo in avanti nell’universo della letteratura, prestando il suo personale stile di scrittura al racconto di una Calabria cruda, impietosa, ingiusta, com’era quella degli anni ’60/’70.
La narrazione è infatti incentrata su uno spaccato della terra natìa descritta e vissuta, amata e odiata, attraverso gli occhi della protagonista Aurora. Una ragazza di buona famiglia, di ceto aristocratico, che ha però un rapporto doloroso, problematico e ambiguo con la sua terra, con la sua casa, con la sua famiglia.
Fin dalle prime righe emerge la diversità del suo carattere, ribelle forte e volitivo, in netta contrapposizione a quello delle sorelle che da bambine, per la paura dei fulmini, corrono a rifugiarsi nel letto della madre.
Questo non succede ad Aurora, la quale invece si appella a sé stessa e alla sua razionalità.
Dalla madre non si è mai sentita amata né voluta. La casa in cui nasce smette presto di essere per lei quel porto sicuro e quel nido dove far cessare qualunque tentativo di fuga.
I suoi unici punti di riferimento sono il padre, il suo amato gatto e la balia Babba, surrogato materno nel cui abbraccio sentirsi protetta, che non le fornisce mai delle cieche rassicurazioni contro i mali del mondo, ma le permette di vedere e percepire invece la realtà delle cose.
Sarà proprio la cruda realtà delle cose ad impattare sulla vita e sul carattere di Aurora che, al netto di tutte le altre figure femminili le cui storie vengono narrate in parallelo nel romanzo, si ritroverà a lottare contro sé stessa, contro i suoi stessi impulsi, contro l’immobilità e la paralisi di ogni emozione per non soccombere alla nebbia del dolore, e per non rassegnarsi alle ingiustizie, agli scempi, alle meschinità che consumano la Calabria e le sue donne.
In un’atmosfera che ricorda in alcuni tratti “Le braci” di Sandor Marai e in altri il verismo dei “Malavoglia” di Giovanni Verga, uno sembra essere il cardine principale sul quale si impernia e prende forma l’intero romanzo: la rappresentazione nettamente divergente dell’universo femminile da quello maschile.
Donne animose, determinate, mosse da un fuoco interiore indomabile, fragili e resilienti insieme, in contrapposizione a uomini pigri, inetti, piccoli, rozzi e dalla mascolinità tossica.
L’autrice presenta fin dalle prime pagine questa realtà dolceamara in cui a pagare il prezzo più alto sono proprio le donne.
Eppure, al di là dell’innegabile intento di denuncia che muove l’autrice e della volontà di riscatto dei suoi personaggi, il romanzo nel suo insieme appare come una sorta di esaltazione (sia in negativo che in positivo) di tutto ciò che è autenticamente umano.
Aurora è silenziosa ma cova un universo dentro la sua pancia.
Questo suo mondo e il suo essere arrivano a fondersi insieme in piccole esplosioni interiori che solo al lettore è permesso scorgere.
E così succede anche ai riferimenti temporali, per cui ricordi passati ed eventi presenti si intrecciano fino a scambiarsi i contorni. Il solo tempo della narrazione che risulta realmente degno di valore è il tempo interiore della protagonista che si alterna e si confonde con quello reale che passa impietoso, invecchia i volti, stravolge equilibri e si abbatte inclemente anche su memorie ancestrali.
Odori, profumi, ricordi. Uno sguardo, un abbraccio, un pianto a dirotto, una promessa, un ritorno.
In tal senso è piacevole, quasi ludico, scoprire a poco a poco, gradualmente, le informazioni salienti della storia: dai riferimenti spazio-temporali, all’età dei protagonisti, dall’ambientazione specifica all’identità dei personaggi principali.
L’autrice non svela tutto subito, quasi volesse catalizzare l’attenzione del lettore più sulle sensazioni e sui repentini cambi di scena che si susseguono come montagne russe.
Di fatti, l’abilità dell’autrice risiede proprio in questo gioco di fusione e confusione.
Dallo stato di agitazione indotto da un prolungato silenzio all’eccitazione positiva di un incontro inaspettato, nel giro di poche righe. Dal sogno alla realtà. Dalla morte alla vita. Dall’odio all’amore.
Ed è proprio l’amore, quell’amore che salva la vita, che ti fa compiere sacrifici, che ti fa stringere la mano di qualcuno che non c’è più, il tassello di cui Aurora dovrà riappropriarsi per affrancarsi dal suo passato, riappacificarsi con sé stessa, ricostruendo e ricongiungendo le diverse pulsioni della sua anima lacerata. Per la stessa Aurora, infatti, solo pochi eletti sono degni di una connotazione di umanità positiva e sono quelle figure nelle quali rivede e intravede parti maltrattate, dimenticate e abbandonate di sé.
E forse è questo, il messaggio più importante che si può cogliere dalla lettura del nuovo romanzo della Nunziata, ossia che soltanto prendendo coscienza della realtà delle cose, senza paura di aprire gli occhi sulle verità scomode, è possibile per l’essere umano trovare la chiave di lettura più giusta che gli permetta di smettere di sentirsi estraneo a sé stesso.