“In occasione della apertura di un nuovo bando per l’assegnazione di una parte del parco archeologico abbiamo sentito nuovamente, dopo anni di silenzio, parlare del progetto Croce-Niviera” – dichiara in una nota Anna Murmura Presidente Archeoclub d’Italia sede di Vibo Valentia. “L’Archeoclub d’Italia sede di Vibo Valentia è stato tra i primi e più convinti firmatari del protocollo d’intesa del progetto di cui sopra al quale hanno aderito molte altre associazioni ed enti prestigiosi. Per questo abbiamo pensato che buona parte dei lettori della stampa locale on-line e cartacea siano curiosi di sapere in cosa consista il Croce-Niviera e, così, pubblichiamo qui di seguito integralmente un articolo molto approfondito sull’argomento, già apparso su uno degli ultimi numeri della rivista di Archeoclub d’Italia.
Prima di concludere questa premessa esprimiamo il solo grande rammarico che l’amministrazione comunale, ente capofila per l’attuazione del Croce-Niviera (firmato dall’allora Sindaco Elio Costa) non abbia mai pensato di convocare gli estensori dell’idea progettuale e i firmatari, quanto meno per capire meglio e, soprattutto, valutarne la sua applicabilità al parco archeologico di Vibo Valentia dal momento che fino ad ora la gestione dello stesso parco è risultata fallimentare, per non dire inesistente. Ma, così va il mondo!”.
“Il progetto del “Croce Niviera. Parco archeologico agricolo e naturalistico del vibonese”, avviato fin dal 2017 e fatto proprio da numerosi enti pubblici e privati, vive oggi la difficoltà dovuta all’atteggiamento delle pubbliche istituzioni nei confronti del territorio e che, a Vibo Valentia e in Calabria come altrove, rischia spesso di nutrirsi di annunci propagandistici cui non si riesce a dar seguito.
L’idea del progetto, unico nel suo genere, muove proprio da una sciagurata vicenda che vede coinvolta l’amministrazione comunale di Vibo Valentia, cui nemmeno la competente sovrintendenza ha saputo porre rimedio. Nel 2016, nel corso dei lavori di sistemazione idraulica della strada dedicata a Paolo Orsi (posta in località Trappeto Vecchio, e contigua al tratto della cinta muraria di epoca greca già portata alla luce: più di 500 m. di imponenti reperti), viene rinvenuto un ulteriore tratto di 350 m della stessa opera. Nonostante la mobilitazione e il clamore che la scoperta aveva provocato nella comunità cittadina, l’amministrazione restò sorda a qualsiasi proposta di modifica dei lavori in corso e di salvaguardia e valorizzazione di quello straordinario rinvenimento, portando a termine i lavori per come previsti e seppellendo nuovamente, sotto uno strato di terra, tubazioni e bitume, le monumentali mura reperite e con esse la speranza della città di vederle valorizzate prima di tutto ai suoi stessi occhi.
Questo emblematico episodio produsse il convergere di molte associazioni nella ricerca di strumenti partecipati, economici e giuridici, di cui dotare la comunità al fine di tutelare (e godere de) il patrimonio archeologico e culturale, con una visione capace di andare oltre il classico aspetto statico della conservazione. Emergeva chiaro che la considerazione dei beni archeologici come un “mero” recinto da salvaguardare da un lato aveva prodotto il fallimento di una loro efficace tutela, e dall’altro che la loro valorizzazione passava necessariamente dalla ricostituzione di un legame armonico tra modalità di produzione, ambiente e paesaggio di cui erano stati e continuavano ad essere espressione. La tutela dei beni archeologici e culturali non è apparsa più come l’unica spinta propulsiva, ma si è man mano modulata e interfacciata con nuove forme di economia, indicando un percorso in linea con un’idea sostenibile e circolare di sviluppo. L’idea di fondo era e resta quella di una interconnessione profonda tra beni storici, paesaggistici e culturali e della loro sinergica capacità di generare una ricchezza diffusa. La trasversalità degli interessi che nel progetto sono stati coinvolti assicura così il conseguimento delle plurime finalità cui esso risponde, proprio perché tutti, interessi e finalità, si sostengono in una trama che ne assicura il reciproco funzionamento: “mettere in sinergia la tutela, la gestione dei beni archeologici e storico-artistici, con il tessuto urbano ed agricolo esistente. Si intende cioè puntare sulla tutela e la valorizzazione dei beni archeologici e storico architettonici, attraverso strumenti partecipati di programmazione e gestione del territorio e l’attivazione di nuove forme di impegno civico a supporto” (pag 8 del progetto) “ … escludendo di puntare sull’esaltazione della singola emergenza archeologica e mirando alla comprensione e alla piena valorizzazione del “contesto Parco” nell’articolazione dei valori che esso porta con sé” (e pag.29).
È nato così il progetto del “Parco Archeologico agricolo naturalistico di Croce Niviera”; il suo nome già contiene tutti gli elementi fondanti cui il progetto si rivolge. Esso assume come punto di partenza la presenza di quel patrimonio archeologico e culturale le cui testimonianze Vibo Valentia mostra numerosissime. La città, grazie ad una posizione geografica e panoramica strategica, oltre che di particolare bellezza, vede insediamenti umani fin dalla preistoria, e trova nel periodo greco un assetto urbano definito, che si svilupperà anche nei successivi periodi (romano, medievale, moderno). Della stratificazione storica restano sul territorio segni significativi: ben quattro aree sacre di epoca greca, di cui tre ai margini dell’abitato ed una inserita al suo interno, oltre ai resti della cinta muraria, solo in parte riportata alla luce, ma di cui si ipotizza uno sviluppo di circa 7 km; l’insediamento romano, del quale resta all’interno dell’area di parco urbano diffuso una superficie di oltre 22.000 mq., con i bellissimi mosaici, relativi alle terme probabilmente pubbliche di località S. Aloe, il teatro, la necropoli in località Olivarelle/Madonnella; un vasto centro storico che fa da corona al castello svevo-normanno, perfettamente conservato, sede attuale del Museo; e le tante chiese e i numerosi palazzi nobiliari del XVIII e XIX secolo, di cui alcuni ancora ben mantenuti.
Contigue ai resti già riportati alla luce, sulla parte nord-orientale della città, vi sono delle aree, in parte sottoposte a vincolo archeologico indiretto, di notevole importanza ambientale e paesaggistica, estese oltre 100 ettari, lasciate nel più completo stato di abbandono. La perimetrazione del parco considera unitariamente queste varie e diverse aree e ne collega le varie potenzialità e funzioni; il Parco prevede difatti una superficie di oltre 152 ettari, di cui quasi 35 di aree archeologiche e i restanti 107 di aree agricole, naturalistiche e boschive; a queste il progetto propone di accorpare ulteriori 157 ettari, che costituiscono il versante che include la località Cocari, tra Vibo Valentia e Sant’Onofrio, degradanti verso il golfo di Lamezia, anch’esso segnato da limitatissima edificazione, e di cui fanno parte tre degli assi viari storici della città, quello che giunge dalla Piana degli Scrisi, quello denominato “della Porticella per la Silica”, subito ai piedi del tempio al Belvedere, e ancora un altro asse viario ormai scomparso, da cui il Parco prende il nome, la Via Croce Niviera per Stefanaconi, che dal versante del Castello portava rapidamente nella sottostante valle del Mesima, collegando la città all’antica Medma. Un vasto comprensorio segnato da un particolare pregio paesaggistico e ambientale e da una vocazione agricola che ben può essere ripresa nelle sue tipicità, e con modalità che non alterino la bellezza e la ricchezza del territorio.
La integrazione tra queste diverse aree è esplicita nelle finalità del progetto : tutela e conoscenza del patrimonio storico-archeologico- architettonico della città, suo restauro e manutenzione; salvaguardia idro-geologica del territorio, attraverso buone pratiche culturali; sviluppo sostenibile e solidale, quest’ultimo “supportato dalla tutela delle forme di lavoro familiare ed artigiano, anche quelle tradizionali, proprie dell’impresa agricola “inclusiva”, della cooperazione economica e sociale e del partenariato attivo fra imprese ed organizzazioni civili. Questa strategia passa attraverso l’inclusione del lavoratore e del consumatore/coproduttore, in grado di perseguire il soddisfacimento solidale di tutti i “bisogni” di vita (cibo, salute, sicurezza, ambiente, socialità) e di lavoro (reddito, opportunità). Con questi obiettivi l’economia eco-solidale si pone il fine di determinare il cambiamento dei sistemi produttivi territoriali, con forme innovative di interazione e partecipazione, in grado di assicurare le dovute sinergie fra la sostenibilità economica, ecologica, storico-culturale e quella sociale. I beni storico-architettonici, il paesaggio, la biodiversità ed il benessere delle persone, sono “beni comuni”, perché riguardano la collettività (cittadini, produttori, consumatori, istituzioni) e possono essere tutelati solo con il giusto coinvolgimento di tutti” (pag. 28 del progetto).
Il progetto Croce Niviera ha prodotto una vasta eco ed un ampio consenso, per la novità e la lungimiranza della sua impostazione. Numerosi gli enti e le associazioni che hanno sottoscritto il protocollo d’intesa che li impegnava, in un partenariato guidato proprio dal Comune di Vibo Valentia (desideroso forse di riscattarsi dei suoi trascorsi), a compiere i passi necessari alla concreta realizzazione del Parco, ancora tutti da portare avanti. Non per questo il Parco ha perso attualità e valore; anzi, può dirsi che la ingravescenza dei problemi, sociali ed ambientali, che affliggono il territorio lo rende ancora più impellente, perchè capace di dar luce a tutte le sue componenti, in un’ottica che, lontana dalle grandi opere e dai grandi proclami, conti sullo sviluppo autogestito e diffuso delle comunità”.