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Imprenditore scomparso nel Reggino 3 anni fa: ergastolo alla moglie e al suo compagno

Ergastolo: questa la condanna inflitta dalla Corte d’assise di Palmi a Antonio Figliuzzi, di 51 anni, e a Ilaria Sturiale (31), ritenuti responsabili dell’omicidio del marito di lei, Agostino Ascone, scomparso all’età di 36 anni, nel dicembre di 3 anni fa. I giudici hanno condannato a 24 anni e 6 mesi di reclusione Giuseppe Trapasso (31), ritenuto complice dei primi due. L’imprenditore, originario della frazione Amato di Taurianova, è scomparso il 27 dicembre 2021 e secondo l’accusa è rimasto vittima di lupara bianca. Un omicidio di cui, per la Dda di Reggio Calabria, sono responsabili la moglie e Figliuzzi, legati sentimentalmente, con l’aiuto di Trapasso anch’esso di Rosarno. Figliuzzi, condannato in passato per mafia, è ritenuto legato alla cosca di ‘ndrangheta dei Bellocco di Rosarno ed era il marito della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola, morta nel 2011 per aver ingerito dell’acido. Dopo la scomparsa di Ascone erano cominciate le ricerche in un territorio vastissimo compresa la foce e l’alveo del Mesima. Secondo l’accusa, basata sulle indagini dei carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, Ascone sarebbe stato attirato in un tranello con la scusa di aiutare Figliuzzi e Trapasso che avrebbero simulato un guasto all’auto. Grazie alle telecamere di un ristorante e al sistema gps della vettura dell’imprenditore, gli investigatori hanno ricostruito gli ultimi momenti di vita di Ascone. Dalla ricostruzione sarebbe emerso che la vittima si era allontanata con il proprio mezzo assieme a Figliuzzi in direzione Rosarno dove poi è scomparso nei pressi dell’abitazione dell’esponente della cosca Bellocco che, secondo l’accusa, d’accordo con la moglie della vittima e facendosi aiutare da Trapasso, avrebbe riportato il mezzo nei pressi della casa dell’imprenditore agricolo ad Amato di Taurianova. Un contributo all’inchiesta è venuto anche dalle intercettazioni telefoniche e ambientali. “Ti faccio squagliare nell’acido dai rosarnesi” è la frase con cui Ilaria Sturiale avrebbe minacciato la cognata e i familiari del marito che le chiedevano spiegazioni circa le contraddittorie versioni fornite ai carabinieri sull’ultimo pomeriggio di vita dell’uomo.

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