Carmine Tripodi, che oggi il ministro della Difesa Guido Crosetto ha voluto ricordare a conclusione della sua visita in Calabria, a San Luca d’Aspromonte, non aveva ancora compiuto 25 anni, quando la sera del 6 febbraio del 1985 cadde sotto il piombo dei sicari della Ndrangheta sulla strada provinciale che da Bovalino, nella Locride, porta a Bianco. Il giovane militare dell’Arma aveva pero’ reagito con coraggio all’aggressione, impugnando la pistola di ordinanza e rispondendo al fuoco del commando mafioso, riuscendo persino a ferire qualcuno dei tre suoi aggressori, sino a soccombere violato da almeno sette colpi di fucile caricato a lupara.
Nell’immediato, ci fu anche chi scrisse che l’omicidio del giovane brigadiere “era frutto della decisione di quattro cani sciolti della ‘Ndrangheta”, ma ben presto emersero altre verita’, seppure non suffragate, a tutt’oggi, da una sentenza di colpevolezza emessa da un Tribunale della Repubblica, Carmine Tripodi, nonostante la giovane eta’, era riuscito a far luce su alcuni sequestri di persona effettuati dalla ‘Ndrangheta di San Luca d’Aspromonte, entrando cosi’ nel mirino delle cosche aspromontane della Locride che, dal 1975 al 1997, monopolizzava in tutta Italia i rapimenti a scopo estorsivo. Ma non solo, Carmine Tripodi aveva contribuito anche a scoprire le ragioni della cosi’ detta ‘faida di Motticella’, scatenata da un sequestro di persona, e conclusasi con oltre 50 omicidi tra le diverse fazioni di Ndrangheta coinvolte, soprattutto le ‘famiglie’ di Africo Nuovo.
La ‘Ndrangheta, dunque, in quegli anni esprime tutta la sua forza militare ed avvia la ‘capitalizzazione’ delle sue ‘bacinelle’ proprio aprendo la stagione dei sequestri di persona su tutto il territorio nazionale, una strategia imposta a cosa nostra, camorra e sacra corona unita. E’ una vera e propria industria, quella dei sequestri di persona, organizzata militarmente e con complicita’ nel mondo delle banche e della finanza, necessarie a ripulire le ingenti somme di denaro pagate dai familiari dei rapiti, che in molti casi non ebbero restituito nemmeno il cadavere del proprio congiunto, finito in chissa’ quale forra aspromontana per sempre.
Veneto, Lombardia, Piemonte, Campania e Lazio, risultano tra le regioni piu’ colpite dal fenomeno – basti ricordare i sequestri lunghissimi di Paul Getty III, Carlo De Feo, Cesare Casella, Carlo Celadon e Giuliano Ravizza – ma, nello stesso periodo, ben settanta furono anche i calabresi costretti con la forza a subire i rapimenti, tra i quali – almeno una decina – non fecero ritorno a casa nonostante i soldi versati dalle loro famiglie. Carmine Tripodi, da giovanissimo brigadiere al comando della stazione dell’Arma di San Luca d’Aspromonte, prima di morire, era riuscito a individuare gli aguzzini di De Feo e Ravizza, contribuendo agli arresti di una quarantina di persone sospettate nel triangolo Plati’-San Luca-Natile di Careri, un impegno, che contrastava con gli obiettivi della Ndrangheta e del circuito ad essa collegata, di avviare su scala planetaria il fiorente traffico di cocaina.
Non “quattro cani sciolti”, dunque, decisero l’omicidio di Carmine Tripodi, ma il ghota della ‘Ndrangheta della Locride, preoccupato di finire in galera e di dovere rinunciare a quella fonte di finanziamento che, oggi sappiamo, l’ha portato a diventare leader credibile nell’interlocuzione con i ‘cocaleros’ del centro e sud America, come testimoniano le decine di tonnellate di cocaina sequestrate nei vari porti europei, provenienti proprio dai paesi sudamericani. Cosi’ muore Carmine Tripodi, fedele servitore dello Stato.
Nelle settimane successive all’omicidio, i carabinieri fermano tre giovani di San Luca d’Aspromonte: Domenico Strangio, Rocco Marrapodi e Salvatore Romeo. Incarcerati, verranno tutti assolti nei vari gradi del processo e la morte di Carmine Tripodi rimane ancora un delitto irrisolto.