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Prestanome per infiltrare l’economia romana: la strategia di Vincenzo Alvaro, “la ‘mente commerciale’ della locale di ‘ndrangheta” nella Capitale

“‘Patti mafiosi’ volti a garantire gli accordi imprenditoriali per infiltrare l’economia romana mediante iniziative imprenditoriali dirette e controllate da Alvaro quale ‘mente commerciale’ della Locale”. E’ quanto scrive il gip Gaspare Sturzo nell’ordinanza cautelare emessa nei confronti di 26 persone accusate di fare parte di una struttura criminale di stampo ‘ndranghetista che operava da anni nella Capitale.

Per il giudice nei confronti delle persone coinvolte nell’indagine “sussistono i gravi indizi cautelari, dal punto di vista soggettivo ed oggettivo come indicati dall’accusa”. Per il magistrato è evidente come “sussista anche l’aggravante dell’agevolazione mafiosa contestata”. 

Il gruppo puntava ad impiegare prestanome “al fine di non fare emergere la struttura dai ‘patti mafiosi'”

L’INTERCETTAZIONE. “Bisogna trovare un polacco, un rumeno, uno zingaro a cui regalare 500/1000 euro a cui intestare sia le quote sociali e le cose e le mura della società”. E’ l’intercettazione, citata nell’ordinanza del gip, in cui a parlare è Vincenzo Alvaro, ritenuto dai magistrati della Dda di Roma a capo della Locale di ‘Ndrangheta attiva da anni nella Capitale. Con lui a capo del sodalizio anche Antonio Carzio, entrambi legali alle famiglie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. 

Nel dialogo carpito Alvaro prosegue: “poi tutte queste cose che dicono e ti attaccano sono tutte minchiate…io ho fatto un fallimento di un miliardo e mezzo e ho la bancarotta fraudolenta…mi hanno dato tipo l’art. 7 e poi mi hanno arrestato…mi hanno condannato…e ancora devo fare l’appello…vedi tu…è andato in prescrizione…le prescrizioni vanno al doppio delle cose…”, aggiunge.

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