di Roberta Mazzuca – “In ogni momento diagnostico mi sono sentito come dentro una fiction televisiva, di un film-commedia all’italiana. Le varie location dentro l’ospedale apparivano più come scene teatrali, in cui il protagonismo del paziente è quello dell’attore principale, intorno a cui ruota una costellazione di figure professionali di importante e significativo spessore, di una potenza estetica capace di suscitare e trasmettere un messaggio rivitalizzante al paziente”.
Può sembrare la descrizione di un nuovo medical drama ambientato chissà dove. Invece, è la straordinaria realtà vissuta e documentata in Calabria, tramite una commovente lettera, da Antonino Fontana, salvato all’Ospedale Annunziata di Cosenza da un delicato intervento chirurgico ad opera del Direttore dell’UOC di Chirurgia Generale “Falcone” Bruno Nardo. Coadiuvato dalla sua eccellente équipe e da colleghi quali il cardiologo Francesco Greco e l’anestesista Demetrio Bonofiglio, il Professore Nardo e l’intero set di personaggi coinvolti in questa bellissima storia di buona sanità, hanno messo in campo tutte le migliori competenze e la migliore umanità di una terra che non solo di orrori e catastrofi sa raccontare. Si, perché ciò che siamo, purtroppo, abituati ad ascoltare in questa meridionale parte dello stivale, soprattutto in riferimento alla sanità, non ricorda certo un medical drama o una commedia all’italiana, semmai rievoca i migliori film di genere horror mai realizzati. Livelli essenziali di assistenza non garantiti, diritto alla salute negato, carenza di personale, commissariamenti, infiltrazioni mafiose, mancanza di ambulanze, consultori, e studi medici. Per non parlare della tragica situazione degli ospedali calabresi nella gestione del Coronavirus. Sono questi gli ingredienti che, solitamente, si riversano nella maggior parte delle realtà sanitarie calabresi, restituendo l’immagine di un’evidente difficoltà e inefficienza del sistema. Reali, però, sono anche le eccellenze del nostro territorio, sono i professionisti di qualità che decidono di restare, e di lavorare in condizioni forse non ottimali, regalando storie ed emozioni che non si è soliti ricevere. Persone come Bruno Nardo che, dal Policlinico Sant’Orsola di Bologna, struttura di eccellenza in Italia, decide di cambiare totalmente scenario e tornare alla problematica dimensione dell’Annunziata di Cosenza.
Qui realizza su Antonino Fontana, paziente proveniente da Reggio Calabria, “un intervento di resezione epatica maggiore, che è consistito nell’asportazione di un tumore di grandi dimensioni” – afferma interrogato ai nostri microfoni. “Un tumore di oltre 20 centimetri, cresciuto nella parte sinistra del fegato e che aveva compromesso in maniera significativa lo stomaco e altri organi, con difficoltà digestive del paziente oltre che un’importante sintomatologia dolorosa”. L’uomo, di 75 anni e “con un cuore non perfetto, ma sicuro”, come lui stesso afferma nella lettera di ringraziamento, e come verrà verificato dal cardiologo Francesco Greco, si è quindi sottoposto a un delicatissimo ma necessario intervento dal quale, grazie alla professionalità, all’attenzione e alla cura del dettaglio dimostrata dalla figura di Bruno Nardo e di tutta l’équipe che lo ha affiancato in questa impresa, è uscito non solo vittorioso, ma anche sereno e felice della sua scelta. Una scelta che lo ha portato ad annullare il viaggio, ormai pronto, per l’Ospedale Mauriziano di Torino, per curarsi, con incredibili e spesso inaspettati risultati, nella propria terra: “Andare al nord per lasciarsi curare dai soliti paesani – scrive ancora nella lettera – che ti avrebbero liberato, con mani meridionali, da quel male che ti aveva fatto tanto paura, non conviene più da quando vieni a sapere che il compaesano che opera nelle più prestigiose cattedrali della chirurgia mondiale, ha deciso di farti risparmiare un viaggio, che potrai eventualmente fare da turista, senza il disagio di lunghe liste d’attesa”.
La buona sanità, quella che esiste anche in Calabria, che resiste, che combatte, può forse essere l’unica speranza per arginare il fenomeno ancora troppo presente dei “malati con la valigia”. Cittadini costretti a intraprendere un viaggio per sottoporsi a importanti operazioni, per un ricovero ospedaliero, o anche solo per degli esami clinici specialistici. Viaggi che rubano tempo, denaro, energie, ma che spesso rappresentano l’unica vera opportunità di vedersi riconosciuto altrove un diritto che nella propria terra è negato, quello alla salute. Da Catanzaro a Milano, da Campobasso a Bologna, da Potenza a Padova, il Sud ha un fenomeno di migrazione tutto suo e che riguarda oltre mezzo milione di malati che emigrano dalle regioni di residenza per raggiungere i più attrezzati ed efficienti ospedali del Nord. Sono i cosiddetti “viaggi della speranza”, di chi la speranza di ricevere cure e sanità anche solo accettabili l’ha persa nella propria terra, e la ricerca altrove, inconsapevole se la troverà o meno. Così come i migranti ricercano altrove quella possibilità di vita che nella loro terra d’origine non gli è più garantita. Un costo umano e finanziario da pagare per chi vive al Sud ed è costretto a combattere contro malattie invalidanti o tumori, e che nei grandi ospedali di Roma, Bologna, Milano, Padova, vede l’unica possibilità di salvezza. Un esodo che non fa altro che acuire il senso di profonda ineguaglianza avvertito tra Nord e Sud, e che storie come quella del signor Antonino possono invece aiutare a colmare. Un paziente che è simbolo di speranza, non più quella di curarsi nei grandi ospedali del Nord, ma una speranza diversa, una dimensione in cui la speranza stessa si lega, invece, alla propria terra, restituendo a pazienti e medici la dignità del proprio lavoro e della propria umanità.
“Si è trattato quasi di una fiction, perché prima di andare in sala operatoria, il pomeriggio precedente, è venuta fuori una problematica importante, di cardiopatia ischemica” , ci spiega il Professore. “Ci è stato, quindi, posto il veto di fare l’intervento senza una coronarografia, e allora ci siamo rivolti al cardiologo, il Dottor Greco, che è riuscito a farla nel giro di pochissime ore, e ad escludere patologie cardiache importanti. Al paziente è sembrato di vivere quasi una fiction televisiva, perché c’è stata una situazione improvvisa, che è stata affrontata in maniera congrua, e sempre con il sorriso sulle labbra per non creargli agitazione. Si è sentito protetto, a casa, al sicuro”. Un’atmosfera magistralmente creata da infermieri, medici e professionisti, che tramite il loro supporto sono stati in grado di donare al paziente tranquillità e serenità esattamente come siamo abituati a vedere in tv nei tantissimi “medical drama” come “Grey’s Anatomy”, “E.R. Medici in prima linea”, “Dr. House”, e via discorrendo. Ambienti che creano legami, relazioni, amicizie, e gratitudine, così come è accaduto in questa storia, e che non parlano solo di malattie, interventi chirurgici e morte, ma del senso profondo dell’essere medici.
SANITÀ E UNIVERSITÀ: SIMULARE LA SALA OPERATORIA CON IL TAVOLO ANATOMICO TRIDIMENSIONALE
“L’incontro con il Prof. Bruno Nardo si è svolto a Cosenza, verificando la fondatezza delle mie aspettative: quella di poter essere operato da mani sicure e da menti dotate di visione prospettica e sinergica, tali da poter assicurare il massimo di prevedibilità col minimo rischio chirurgico, – scrive ancora Antonino – che sarebbe stato ridotto a zero, dopo verifica della fattibilità al tavolo anatomico tridimensionale”. Eccellenze sanitarie che si uniscono, dunque, a eccellenze accademiche: “Il tavolo anatomico tridimensionale – ci dice il Prof. Bruno Nardo – è disponibile all’Università della Calabria grazie al supporto del rettore Nicola Leone, che lo ha donato al laboratorio di medicina. Grazie ad esso, si ha la possibilità di pianificare e simulare interventi inserendo gli esami strumentali che vengono fatti nei vari pazienti, in particolare la TAC o la risonanza magnetica”. In sostanza, uno strumento avanzato e utilissimo, capace di riprodurre l’anatomia del paziente nei minimi particolari, verificando la sede, le dimensioni, e le caratteristiche del tumore, nonché i rapporti con gli altri organi. “Ci si ritrova come su un tavolo operatorio normale, a pianificare e simulare quello che si andrà a fare nel paziente nella realtà della sala operatoria. È, quindi, uno strumento molto importante nelle mani del chirurgo, perché permette di non avere sorprese, di rilevare situazioni anomale e affrontarle ancor prima di iniziare l’intervento”. Un sistema tecnologicamente avanzato in touchscreen, che rende possibile anche in Calabria simulare la fattibilità chirurgica dei casi più complessi.
Un gioiello della nostra sanità e della nostra Università, che è stato anche oggetto di un corso di simulazione preoperatoria di pazienti con tumori dell’apparato digerente, rivolto a 50 studenti della nuova facoltà di Medicina-Chirurgia e Tecnologie Digitali dell’Università della Calabria. Un corso diretto proprio dal Professore Bruno Nardo, insieme al Professore Sebastiano Andò, e durante il quale hanno suscitato grande interesse proprio due casi clinici: il primo di Antonino Fontana appunto, e il secondo di una ragazza di 18 anni della provincia di Vibo Valentia affetta da un tumore benigno ma sintomatico, localizzato in una posizione posteriore e pertanto impossibile da raggiungere se non affrontato con le braccia robotiche. Casi che riaprono il dibattito sul tema dell’intelligenza artificiale legato alla medicina: “È un argomento, ormai, molto discusso”, ci spiega il Professore Nardo. “Noi abbiamo parlato di Intelligenza Artificiale, di tecnologie digitali, e di telemedicina per la cura dei pazienti con tumore dell’apparato digerente in un recente congresso che ha visto la partecipazione di relatori anche di caratura nazionale ed internazionale e che si è svolto anche presso l’Unical alla presenza degli studenti. Sono stati discussi i casi clinici complessi ed è stata portata avanti la problematica di come l’Intelligenza Artificiale e la telemedicina possano contribuire a migliorare la sanità”.
“Non è la prima volta che i pazienti annullano viaggi della speranza verso centri di chirurgia del Nord o Centro Italia”, conclude Bruno Nardo. “Questo ci inorgoglisce perché dimostra che stiamo lavorando bene, stiamo facendo squadra, e tutto ciò porta i pazienti a percepire realmente l’impegno e il desiderio di costruire una buona sanità calabrese”. Una speranza, allora, che può diventare concretezza, non più un sogno da ricercare viaggiando, ma una realtà da trovare restando.