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Calabria, Sbarra: “C’è più di quanto piano Marshall dava a Sud”

Ha iniziato la sua militanza sindacale a Locri (Rc), è stato segretario generale della Cisl di Reggio Calabria e ha guidato la Cisl calabrese. Poi ha spiccato il volo fino a Roma, nella segreteria confederale e alla guida della Fai – la federazione dei lavoratori agroalimentari del sindacato d’ispirazione cattolica – infine Luigi Sbarra, 62 anni, calabrese di Pazzano (RC), è approdato alla segreteria generale della Cisl dopo essere stato al fianco di Anna Maria Furlan come segretario aggiunto. La Cisl, insieme con Cgil e Uil, è impegnata, ai massimi livelli, per sostenere la vertenza Calabria su pochi ma decisivi punti per lo sviluppo della regione. In passato la regione è stata spesso al centro di un dibattito nazionale che ha prodotto ben poco. Basta pensare alle cattedrali nel deserto prodotte dal “Pacchetto Colombo” negli anni Settanta. Perché i calabresi dovrebbero credere che ora le cose sono cambiate?

“Perché – spiega Sbarra in un’intervista all’AGI – le condizioni storiche, politiche ed economiche sono inedite, e per molti versi irripetibili. Ma affinché’ le cose cambino non basta crederci: bisogna impegnarsi, stare dentro alle dinamiche di decisione, “esserci per cambiare”, aprire una stagione di comune assunzione di responsabilità per rispondere alla massima priorità del nostro tempo: colmare le diseguaglianze sociali e territoriali. C’è un tratto tangibile – sottolinea – che, oggi più che mai, lega le ragioni dell’integrazione a quelle dello sviluppo. Un filo indebolito da anni di politiche divisive, antisolidali, quando non sfacciatamente antimeridionali, e logorato ulteriormente dalle trazioni disgreganti della crisi pandemica dell’ondata inflazionistica. Dovere dell’attuale classe dirigente, sia essa politica o sociale, è – continua il segretario della Cisl – riallacciare questo filo, consolidarlo, guardando al riscatto delle aree deboli come alla più grande opportunità di crescita morale ed economica del Paese e dell’Europa. Compito che richiede un solido coordinamento tra livelli istituzionali e un forte protagonismo sociale”. La “rivoluzione meridionalista”, aggiunge, “deve partire dalla più importante risorsa: il capitale sociale: dall’occupazione, specialmente giovanile e ancora di più femminile; dalla formazione e gli investimenti produttivi che generino buon lavoro; da infrastrutture materiali e sociali che assicurino a tutti pieno godimento dei diritti di cittadinanza. E nella buona battaglia nazionale per il riscatto del Mezzogiorno, la Calabria, con le sue antiche ferite e le sue immense risorse, rappresenta – assicura – un fronte strategico”.

Per questo, fa rilevare, “va costruita e sostenuta un’agenda di sviluppo che ponga al centro le sue enormi potenzialità inespresse. Bisogna ritrovarsi in uno spazio concertato che rilanci l’occupazione stabile, soprattutto giovanile e femminile, dia certezza e qualità agli investimenti, attivi leve di fiscalità di sviluppo, riqualifichi le politiche energetiche e industriali. Tutto questo è oggi come mai alla nostra portata. Per costruirlo – aggiunge – abbiamo bisogno di coerenza politica, partecipazione e coesione sociale”. Le conseguenze della pandemia e la crisi ucraina sembrano aver creato le condizioni per un ritorno della centralità del Mediterraneo come crocevia dei flussi commerciali ed economici mondiali. Si riparla del porto di Gioia Tauro e della sua area industriale deserta. Quale ruolo possono svolgere in questo contesto e su quali basi? “Un ruolo strategico – risponde Sbarra – e non solo per la regione, ma per l’Italia e l’Europa intera. Siamo in uno snodo fondamentale della storia, in cui si ricompongono le catene di fornitura globale e i mercati mondiali. Una curva epocale – continua – che offre l’opportunità al nostro Sud di essere protagonista della transizione, ponendosi come via privilegiata per i commerci e le sinergie produttive euro-mediterranee. Il motore del Mezzogiorno e della Calabria in particolare va acceso e connesso a tutti i driver della crescita. Non possiamo accontentarci di essere una semplice e passiva “piattaforma logistica”, dobbiamo proporci come un hub industriale ed energetico vivo, produttivo, integrato, ben collegato al continente con reti adeguate e capace di intrecciare le tante vocazioni dei territori: dalla manifattura alle start-up innovative, dal turismo al commercio, dall’agroalimentare all’artigianato, dai servizi al terziario. In questo sistema, e specialmente dopo il raddoppio del Canale di Suez, la portualità calabrese gioca un ruolo essenziale. Penso proprio al porto di Gioia Tauro e all’urgenza di sviluppare un sistema portuale, retroportuale, industriale e infrastrutturale capace di capitalizzare enormi potenzialità inespresse, soprattutto dopo il raddoppio del canale di Suez. La prima sfida – osserva – riguarda le reti materiali, senza le quali il porto resta isolato: ferrovie, strade, autostrade, connessioni logiche, banda larga e ultraveloce. Sul piano della fiscalità di sviluppo vanno rafforzati e ben collegati alla programmazione PNRR i crediti d’imposta per gli investimenti, l’occupazione e la formazione”.

L’avvio delle Zes, per Sbarra, “è un risultato molto positivo, che dopo tanti anni finalmente offre un quadro “sistemico” verso una strategia di sviluppo che valorizzi i porti meridionali fornisca strumenti per creare sui territori opportunità di crescita nel campo della logistica, nelle aree tecniche e manifatturiere. Oggi il Mezzogiorno d’Italia – argomenta – può diventare davvero il propulsore di una nuova strategia di sviluppo comunitario. Ma perché cio’ accada bisogna superare definitivamente gli ideologismi e le idiozie passatiste dei “professionisti del no”. Estremismi e falsi ambientalismi che hanno impedito in questi anni la piena realizzazione delle capacità produttive meridionali”. In questi giorni di difficoltà nell’approvvigionamento energentico si riparla del rigassificatore nel porto di Gioia Tauro. “La vicenda del rigassificatore di Gioia – dice il numero uno della Cisl – è emblematica e rappresenta alla perfezione, nelle sue tappe, il lungo inverno ideologico che ha bloccato nel nostro Paese ogni ambizione modernizzatrice. Una notte lunghissima in cui Governi, politica, e anche un certo sindacato hanno alimentato populismi e demagogie senza senso, che sull’altare di una concezione distorta e sbagliata di sostenibilità hanno fermato il progresso, impedendo la costruzione di nuove infrastrutture energetiche e l’ammodernamento degli impianti produttivi esistenti. Il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti, con una dipendenza nazionale dal gas di Mosca che non ha pari in Europa un arretramento esiziale nella nostra sovranità energetica”.

Sbarra, a questo proposito, risorda le battaglie “in solitaria” della Cisl sull’impianto di Gioia Tauro, e sul TAP pugliese, “che ancora – sottolinea – funziona a mezzo regime. Per non parlare di quelle fatte contro chi ha voluto lo smantellamento delle piattaforme sull’Adriatico, rinunciando a giacimenti preziosi a tutto beneficio dei paesi hanno continuato le estrazioni, appena al di là del mare. E così, se solo venti anni fa l’Italia ricavava dalle sue risorse oltre 20 miliardi di metri cubi di metano l’anno, oggi siamo fermi a 3. Una completa disfatta che oggi paghiamo caro. Dobbiamo invertire questa rotta, diversificare gli approvvigionamenti, ridefinire rapporti commerciali, fonti e tecnologie. Il Sud è la più grande risorsa che possiamo attivare. E il rigassificatore di Gioia è una chiave fondamentale che dobbiamo finalmente utilizzare”.

Fra Por e Pnrr la regione ha a disposizione 10 miliardi di euro. Come vanno spese queste risorse? “Trasformando in atti concreti – è la risposta – tre parole: “tutte”, “bene” e soprattutto “insieme”. Perché solo allargando la governance degli investimenti alla società civile possiamo avere un monitoraggio continuo sulla buona qualità della spesa, attivare condizionalità sociali che sblocchino l’occupazione stabile e di qualità, specialmente giovanile- femminile, e poi alzare la guardia contro la criminalità e accelerare i cantieri per rispettare i cronoprogrammi. La via – aggiunge – è quella di un “cantiere nazionale per la Calabria” in cui Governo, poteri locali, mondo del lavoro e dell’impresa esercitino corresponsabilità per mettere a frutto tutte le possibilità delle dotazioni del PNRR, del Fondo sviluppo coesione e della nuova programmazione 21-27 dei fondi strutturali. Sul tavolo c’è molto più di quanto destinava al Sud il Piano Marshall: una dotazione che non possiamo sprecare, con cui dobbiamo spezzare storiche diseconomie infrastrutturali che frenano la crescita: dal completamento della SS 106, all’alta capacità sino a Reggio; dall’ammodernamento della ferrovia ionica, alla piena attivazione delle Zes. C’è da mettere in campo una nuova grammatica meridionalista partecipata. Occorre partire da Patti territoriali ben collegati a una visione nazionale organica e condivisa: un perimetro di co-decisione che aiuti a sbloccare capitali pubblici, garantisca trasparenza e legalità, rispetto del vincolo del 40% delle risorse al Sud, buone flessibilità negoziate per accelerare le opere e rendere attrattive le zone sottoutilizzate. Penso a un cammino concertato – conclude – da raccordare dentro una grande Intesa nazionale che metta il riscatto dei ceti e delle aree deboli al centro di una nuova politica generale di sviluppo”.

(AGI)

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