Ci sono tutti i presunti esponenti di vertice della cosca Alvaro di Sinopoli tra gli arrestati del filone reggino dell’inchiesta condotta dalla Dia che stamani ha portato all’esecuzione di due ordinanze di custodia cautelare emesse dai gip di Roma e di Reggio Calabria. In carcere sono finiti Carmelo Alvaro, detto “Bin Laden”, Carmine Alvaro, detto “u cuvertuni”, ritenuto il capo locale di Sinopoli, e i capi locale di Cosoleto Francesco Alvaro detto “ciccio testazza”, Antonio Alvaro detto “u massaru”, Nicola Alvaro detto “u beccausu” e Domenico Carzo detto “scarpacotta”.
Dalle indagini condotte dalla Dia reggina, infatti, è emerso che la cosca, oltre ad essere operativa nel territorio di Sinopoli, dominava anche il centro urbano di Cosoleto, paese aspromontano, ove insiste un locale di ‘Ndrangheta autonomo ma funzionalmente dipendente da quello di Sinopoli. Al termine dell’indagine “Propaggine” condotta dalla Dia con il coordinamento della Dda di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri, sono state arrestate 34 persone, 29 in carcere e 5 ai domiciliari. Tra questi il sindaco di Cosoleto Antonino Gioffrè. Gli interessi della cosca Alvaro-Penna, infatti, secondo la Dia, si sarebbero estesi all’amministrazione locale. Dalle indagini è emerso un forte interesse dei sodali per la competizione elettorale del Comune di Cosoleto del 2018. In particolare, Antonio Carzo, ritenuto capo del locale romano, è accusato con il sindaco Goffrè di scambio politico-elettorale. Oltre a questo reato, gli indagati rispondono a vario titolo di associazione mafiosa, favoreggiamento commesso al fine di agevolare l’attività del sodalizio mafioso e detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate. L’attività investigativa è stata avviata nel 2016 dal Centro operativo della Dia con il coordinamento della Procura di Roma. Successivamente, a seguito dell’emersione di numerosi e significativi punti di contatto con soggetti calabresi operanti a Sinopoli, Cosoleto e territori limitrofi, parte degli atti sono stati trasmessi per competenza e le indagini, per tale parte, sono proseguite con il coordinamento della Dda di Reggio Calabria. Oltre a confermare l’esistenza del locale di ‘Ndrangheta nel territorio di Sinopoli, dove è radicata la famiglia mafiosa degli Alvaro e a cui è legata la famiglia Penna, le indagini hanno consentito di appurare come la cosca abbia dato vita, nella capitale, ad un’articolazione (denominata locale di Roma), che rappresenta un “distaccamento” autonomo, del sodalizio radicato in Calabria.
Secondo gli investigati, con l’inchiesta della Dia c’è un’immagine nitida dell’esistenza di una propaggine romana, oggetto delle indagini coordinate dalla Dda di Roma. Autorizzato dai massimi vertici della ‘Ndrangheta calabrese, si tratta di un locale che era in stretto legame con la “casa madre sinopolese” che aveva il compito di trovare una soluzione alle frizioni tra i sodali romani. A Roma è stata esportata anche l’osservanza dei riti e dei linguaggi tradizionali. I due capi del locale romano limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali.