di Francesca Gabriele – Sono passati dodici anni dalla prima uscita del romanzo del poliziotto – scrittore del Cosentino, Tommaso Orsimarsi. Dodici anni in cui l’infaticabile uomo con la divisa e la penna in mano ha riempito fogli e fogli di racconti non arrestando più la sua passione per la scrittura.
Ancora una volta è stata la Casa editrice di Pellegrini Cosenza ad aver preso in custodia quello che sarà il “giallo” dell’estate nostrana e non solo. “L’occhio di Scanderbeg” non si ferma ad essere un romanzo d’intrighi da risolvere, ma è molto di più; chi scrive oserebbe dire che è una rivisitazione di luoghi, fatti e misfatti dell’ultimo ventennio, realmente accaduti all’ombra dello scorrere del Crati e del Busento. Lo scritto è dedicato al Nostro indimenticabile giornalista bruzio, Alessandro Bozzo.
Ne sono passati di anni dalla nostra prima intervista per commentare il tuo primo romanzo, “Con altri occhi”, al quale non lo nascondo sono particolarmente affezionata. “Il poliziotto con la penna in mano” è culturalmente cresciuto. Mi ritrovo tra le mani a leggere il tuo primo giallo. Un genere non facile. Com’è nato?
Si, pensare a quel romanzo d’esordio e all’intervista mi emoziona ancora perché era tra le mie prime, e perché sono rimasto per tutti “il poliziotto con la penna in mano”. Una delle cose che mi venne più chiesta fu proprio come mai un uomo in divisa coltivasse la passione per la scrittura. Allora, me lo chiedevo anch’ io, ora so che è una mia esigenza primaria. Raccontare di esperienze umane è in qualche modo vivere altre vite, suggerire, darsi delle risposte e proporsi nuovi interrogativi. Il tempo scorre e, intanto, quel romanzo anticipava una strada che ho seguito con passione, romanzo dopo romanzo.
Sul piano della scrittura come sei maturato?
Passando dal romanzo di formazione a quello storico da quello che indaga nelle problematiche personali e sociali fino al giallo. È vero il genere non è facile da affrontare, almeno il primo di una saga. Per anni è stato considerato a torto un genere minore anche se oramai è riconosciuto da più fronti che meglio di altri generi riesce a restituire fondamentali spaccati di vita. Io ci sono arrivato dopo aver maturato un mio particolare metodo di raccontare. Questo si pone alla base di ogni racconto e può attraversare i diversi generi. In pratica c’è chi come punto fermo ha il genere e chi come me vede ha nel modo di raccontare il suo punto fermo.
Il giallo, come hai sottolineato, non è un genere facile: lo scrittore deve districarsi tra il raccontare e il non raccontare, deve camuffare e deve creare in maniera continua quella certa suspense nel lettore. Perché ti sei voluti mettere alla prova con questo tipo di racconto?
Vero le difficoltà si palesano appena si mettono le mani sulla tastiera. La suspense e l’esigenza di nascondere anche l’evidenza senza bisogno di prendere in giro il lettore o condurlo su binari morti è fondamentale. In mio soccorso sono intervenuti due fattori importanti.
Quali?
Aver seguito più di venti anni fa un corso universitario di Letteratura Moderna e Contemporanea che prevedeva come parte monografica proprio il genere giallo e poi la mia esperienza lavorativa che mi ha messo davanti a tanti fatti di cronaca che se pur non cito esplicitamente mettono dei paletti al verosimile rendono convincenti le narrazioni.
Per questo giallo in particolare ho voluto seguire il Doppio Decalogo teorizzato da S.S Van Dyne ( Willard Huntigton) sull’American Magazine nel 1928, è questo è forse il vero esercizio per un autore, rispettare delle regole e magari sapere in cosa si trasgredisce.
In ultimo, da anni partecipo ad una rassegna di gialli a Langhirano di Parma con i miei lavori proprio perché, anche se non pienamente nel genere, tutti hanno una risoluzione finale che richiama quella dei gialli.
Cosenza è protagonista del tuo racconto. In base a che cosa hai scelto le varie ambientazioni esterne?
Cosenza i suoi misteri sono al centro di questo romanzo e non poteva essere altrimenti. La conoscenza dei posti per il giallo è fondamentale. L’autore deve muoversi in loro in modo naturale. Il centro storico, i suoi vicoli, i suoi palazzi, le sue strade e piazze si sono prestate a una bella ambientazione. Anche la parte nuova della città e finanche il nuovo ponte di Calatrava hanno avuto nella narrazione la loro centralità. Quest’ambientazione fa si che il lettore possa percorrere gli itinerari di ogni pagina e aumentare la suggestione e la percezione di un verosimile fondamentale nel raccontato. Ho pensato poi che fosse finalmente ora che dopo le ambientazioni siciliane, romane, bolognesi, napoletane, milanesi, anche la nostra Cosenza potesse trovare i suoi spazi.
Devo però ammettere che alla base della storia ha giocato un ruolo importante una poesia in vernacolo scritta per far parlare il palazzone Jolly del quale tante volte era stato annunciato l’abbattimento durante la prima stesura del giallo. Questo vederlo a terra, immaginare una vista mozzafiato del centro storico e i suoi tanti misteri stimolava tanti pensieri. Oggi quella struttura è davvero a terra.
Si dice che in ogni racconto lo scrittore metta spezzoni della sua anima e della sua vita. Anche un giallo può essere inconsciamente introspettivo. Appena ho letto dei protagonisti del racconto ho ritrovato nel giornalista misteriosamente ucciso, Valentino Valentini, una parte del Tommaso Orsimarsi innamorato della sua divisa, ma anche della scrittura e del giornalismo. Mi sbaglio?
Verissimo il mio amore per la scrittura lo conosci bene da tempo per le nostre collaborazioni e alcuni degli articoli di Valentini sono quelli pubblicati allora e riadattati. Ho voluto giocare sulle difficoltà di scrivere anche se solo di cultura o di territorio in una Calabria sempre avara di opportunità. Ho da sempre ammirato la scrittura e i giornalisti il loro stare sulla notizia, i loro sacrifici e purtroppo anche la poca riconoscenza che gli stessi fruitori di informazioni hanno per questi professionisti. Viviamo in un mondo nel quale comodamente dalle nostre poltrone vogliamo sapere, in tempo reale, cosa accade senza pensare a chi rende possibile tutto questo. È per questo motivo che ho dedicato il libro ad un amico, Alessandro Bozzo, e al suo inchiostro mai vano. Il romanzo è totalmente di fantasia i personaggi sono lontani dalla vicenda che ci ha privato di questo bravo giornalista, le vicissitudini, le emozioni, le difficoltà sono quelle.
Prima di leggere il tuo romanzo ho voluto leggere le recensioni. Qualcuno auspicava che del tuo scritto se ne possa trarre un film. Con il senno del dopo lettura approvo pienamente quell’auspicio. Ci sono state proposte in tal senso?
Credo che sia presto per augurami pellicole e magari tutta una serie ambientata a Cosenza, ma la cittadina bruzia ha tanto da dare a questo mondo che a mio parere l’ha un po’ trascurata. Qui, in città, abbiamo dei validi professionisti e chissà che non siano proprio loro a prendere le redini di questa storia e farne una pellicola. Per un momento propongo a loro e a tutti gli altri lettori di avvicinarsi a questo romanzo e scoprire il mondo che ho creato, i meccanismi letterari e affezionarsi ai personaggi.
La tua fan numero uno era bambina ai tuoi esordi. Oggi è una giovanissima donna. Che cosa ne pensa, Francesca Anna, de “L’ occhio di Scanderberg”?
Sì, lei resta sempre la mia fan numero uno, come sai, è per lei e con lei in braccio che ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo. Ora è un’appassionatissima lettrice di tanti generi e la cosa mi conforta in questo momento storico dove pare che si legga davvero poco. Allo steso tempo personalmente confido particolarmente nei giovani, perché proprio Francesca Anna mi ha fatto comprendere quando spesso il mondo della scrittura si rivolga a loro con supponenza e arroganza e loro rispondono semplicemente ignorano ciò che non li coinvolge. I giovani oggi amano informarsi e sfuggono di che se ne pensi l’omologazione e ogni forma di compromesso e per me questo vuol dire speranza per un mondo migliore.
Quando ritornerò a Cosenza faremo una presentazione del romanzo come da tradizione?
Certamente, magari la organizzeremo proprio sui posti tratta dal romanzo anche per dare continuità a collaborazione e amicizia.
Intanto, aspettiamo “la prima” con la tua Casa editrice…
Mi fa piacere tu abbia fatto questa citazione. La casa editrice Luigi Pellegrini Editore, quest’anno compie settant’anni di attività. Anni in cui il fondatore e gli eredi hanno regalato opportunità e sogni ai suoi molteplici autori.