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“L’arte come processo di elaborazione di un lutto”: sulla spiaggia di Cutro, l’opera collettiva “Arithmos” per ricordare le vittime del naufragio

di Gaia Serena Ferrara

 

Nessuno spettacolo, nessun pubblico, nessun applauso.

L’iniziativa indetta a Steccato di Cutro dal regista Giancarlo Cauteruccio, a un mese esatto dal naufragio che ha causato circa 90 vittime fra adulti e bambini, si è svolta all’insegna del silenzio, dell’attesa, dell’immobilità.

Tanti gli artisti coinvolti che hanno risposto all’appello: cantanti, musicisti, poeti, scrittori, pittori provenienti da diverse parti della Calabria e da altre Regioni che hanno avvertito l’esigenza di partecipare all’opera collettiva Arithmos in memoria dei migranti vittime del naufragio.

Il collettivo di artisti si è così integrato e mescolato ai cittadini presenti ieri sulla spiaggia di Cutro e ha dato vita a un momento di raccoglimento e di riflessione particolarmente sfaccettato e che lo stesso regista ha definito come una sorta di “processo di elaborazione del lutto” che ci colpisce tutti e ci riguarda tutti.

“Da sempre – spiega Cauteruccio – l’arte ha il merito di farsi interprete della condizione umana e questa tragedia, come altre, è entrata a farne parte, a sconvolgerla e rimarrà certamente nella memoria di tutti, calabresi e non”.

Un’occasione di condivisione, quindi, quella di ieri, un’opportunità di civiltà, di solidarietà senza troppo clamore e senza protagonismo che non fosse quello delle vittime stesse.

Il titolo stesso dell’opera collettiva “Arithmos” li riguarda da vicino.

“Arithmos è il numero, numero che Pitagora nel V secolo poneva come elemento primario della sua scuola, un numero spirituale, divino, che oggi assume invece una tragicità sconvolgente” ha affermato Cauteruccio spiegando come la prima e autentica tragedia sia l’abitudine ormai interiorizzata di pensare alle vittime come a dei numeri, dimenticandone i nomi e l’identità per ridurli a semplici cifre.

“Porto il lutto per Edith, Alejandra, Alì, per Samir, Samia, per Joseph. Piango per enne (n), enne, enne, enne, enne”.

Recita così un breve estratto dell’intervento degli attori Irene Talarico e Massimo Bevilacqua, tratto dall’opera “Tutto brucia” di Motus e teso proprio a ricordare ai presenti che l’inaccettabile entità di quelle morti non si può quantificare.

Questa consapevolezza di essere passati dal valore della qualità al sistema della quantità ci costringe a ripensare l’umano in modo da recuperare il senso del nostro essere umani, del nostro vivere insieme, del nostro sentire comune.

Nella stessa direzione anche l’interpretazione di un passo delle Troiane di Euripide, da parte della compagnia teatrale RossoSimona, con il racconto di una guerra lunga 10 anni e della sofferenza umana che ne deriva, del lamento di dolore delle madri che piangono la perdita dei figli, dei fratelli, dei mariti.

Non sono mancati momenti più personali, come nel caso delle poesie di Maria Curatolo e Anna Lauria pensate e scritte appositamente per Cutro, così come il monologo in dialetto dell’attore cosentino Carmelo Giordano o, ancora, come la ninna-nanna intonata da Antonio Olivo.

Ugualmente degni di nota sono stati gli intermezzi canori, fra gli adattamenti di alcuni testi inediti di Pasolini (realizzati da Sasà Megna e Francesco Turrà) e la profondità dell’atmosfera creata dal sottofondo musicale offerto dal catanese Riccardo Leotta.

In questo mosaico di umanità, empatia e solidarietà, comunque, ha trovato spazio anche l’iniziativa dell’artista Maurizio Orrico che ha distribuito ai presenti una banconota di colore rosso e del valore di 100€ da lui realizzata e che si è fatta portatrice di un messaggio simbolico fortemente critico: “I migranti sono prima di tutto vittime della cupidigia del mondo”.

Similmente, anche lo scrittore e giornalista romano Giuliano Compagno nel suo intervento ha lasciato un monito ai presenti: “A forza di scrivere non è mai resuscitato nessuno. D’altronde senza parole non si dà memoria, benchè un silenzio grave superi ogni ricordo. Sempre lo supera”.

Di fatti, poche ma decisive sono state le parole spese ieri per lasciare maggiore spazio ai gesti, in un’atmosfera quasi cerimoniale dove la cosa più significativa da fare era fermarsi “a sentire”. Solo così il dolore, la paura e la perdita si distaccano da qualsiasi connotazione o interpretazione strumentale e ritornano ad essere universali. Solo così ci si ricorda che la paura e la disperazione non hanno colore politico, né colpa, né biasimo.

Probabilmente il regista Cauteruccio ha avuto ragione nel sostenere che solo l’arte e solo gli artisti potessero interpretare e raccontare “l’umano” nella sua connotazione più semplice e vera, in una cornice complessa com’è quella in cui si inquadra il naufragio di Cutro.

“Una vicenda che ha aperto tanti e forti interrogativi ma che ci ha anche fatto capire che la Calabria è ancora terra di accoglienza, civiltà e solidarietà” ha ribadito il fautore dell’iniziativa che ha voluto concludere l’azione collettiva con la promessa, l’augurio, la speranza (suggellati da un applauso finale) di ritrovarsi nuovamente in questi luoghi senza portare più dolore.

 

 

 

 

 

 

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