di Claudio Cordova – Il centrodestra reggino è coinvolto fino al collo nell’ultima inchiesta “Ducale”, che ha scoperchiato gli interessi della cosca Araniti sulle elezioni regionali e comunali. Non si spiega altrimenti se non così, il fatto che, a distanza di diverse ore dall’operazione del Ros dei Carabinieri non sia emersa ancora una dichiarazione che possa, almeno parzialmente, fotografare la gravità della situazione amministrativa e politica a Reggio Calabria.
E questo non è dato solo dal coinvolgimento del capogruppo di Fratelli d’Italia alla Regione, Giuseppe Neri. Sono diversi i riferimenti e i ruoli che emergono dalle conversazioni degli esponenti della cosca (in primis Daniel Barillà, ma non solo) che coinvolgono consiglieri comunali (all’epoca dei fatti), ex consiglieri regionali e parlamentari e parlamentari in carica.
Nessuno di loro è, allo stato attuale, indagato, per cui, in ottemperanza alle leggi, non leggerete il nome.
Ma il contesto che emerge dall’inchiesta della Dda di Reggio Calabria mostra (ancora una volta) un quadro politico inquinato in maniera bipartisan. Si spiega così il silenzio del centrodestra che, invece, in un momento del genere, con il sindaco Giuseppe Falcomatà indagato e il consigliere comunale del Pd, Giuseppe Sera, avrebbe avuto gioco facile nel richiedere quello che, a ogni evidenza, sarebbe poco più che un atto dovuto da parte del Prefetto di Reggio Calabria, Clara Vaccaro: l’istituzione di una commissione d’accesso a Palazzo San Giorgio per accertare eventuali condizionamenti della criminalità organizzata in seno alla Amministrazione Comunale.
Analizziamo i fatti.
- Il sindaco Giuseppe Falcomatà è indagato per voto di scambio politico-mafioso. E’ vero, per lui la Dda non ha nemmeno richiesto l’arresto, ma nelle carte firmate dal Gip Quaranta emergerebbe il rapporto stretto con Daniel Barillà, genero del boss Domenico Araniti. Barillà, anche dirigente del Partito Democratico, sarebbe anche stato nominato dal sindaco in una struttura di valutazione della macchina amministrativa.
- Giuseppe Sera è consigliere comunale di maggioranza e, in particolare, del principale partito di maggioranza, del Partito Democratico. E’ anche presidente della Commissione consiliare permanente “Territorio, urbanistica, patrimonio edilizio e terriero, edilizia privata, viabilità, infrastrutture, trasporti, servizi tecnologici”. Per gli inquirenti (che, nel suo caso, avevano anche chiesto la misura cautelare) è il candidato di riferimento della cosca e avrebbe avuto rapporti non solo con l’ormai celeberrimo Barillà.
- Non indagati (e, quindi, con l’impossibilità di essere citati) vi sono anche altri esponenti vicini al sindaco Falcomatà che, con varia intensità avrebbero partecipato a riunioni considerate degne di attenzione investigativa da parte del Ros.
Ma la descrizione analitica deve fermarsi qui.
Perché un capitolo a parte merita l’ennesima possibilità che il voto del 2020, quello che riconsegna (dopo il turno di ballottaggio) la città a Falcomatà sia stato inquinato dai brogli elettorali. Un intero capo di imputazione, contestato a diversi soggetti (tra cui Barillà) descrive la raccolta e l’indebito uso di tessere elettorali di terzi soggetti, al fine di votare senza averne diritto o comunque di votare più di una volta, alterando così il voto presso la sezione 88 di Sambatello, feudo della cosca Araniti, da sempre.
E questo si aggiunge al processo, ancora pendente, a carico del consigliere comunale (anche in questo caso del Pd, quindi, partito di maggioranza) Antonino Castorina, principale imputato per i presunti brogli elettorali avvenuti nel 2020. Un’inchiesta di alcuni anni fa che, ora, non può non avere ulteriore peso. Perché se ai tempi non esisteva minimamente alcuna fattispecie mafiosa, ora il presunto meccanismo sarebbe stato elaborato da Barillà, considerato uomo della cosca Araniti. Addirittura, dicono due donne indagate per i brogli, il consigliere si sarebbe lamentato di presunti brogli a Sambatello: “Perché Castorina – ha detto – ma non è che mi spasci i voti a Sambatello?”.
Quando la realtà supera la fantasia.
E, allora, se i soggetti sono questi, non sorprende di certo il delirante comunicato stampa diffuso dal Pd in cui si esprime una (becera) solidarietà ai soggetti coinvolti. Becera non perché si debba ricorrere immediatamente alla forca. Ma becera perché, ancora una volta, si continua a ignorare (o, evidentemente a trovare per nulla sconveniente) comportamenti come quelli di andare a casa di un boss di ‘ndrangheta. E così, tra inciuci da tempo paventati tra una parte del centrodestra e Falcomatà, e coinvolgimento di importanti esponenti di partito, il centrodestra tace. Addirittura, qualche genio avrebbe voluto fare una nota di sostegno per Neri & co., quando, invece, ci sarebbero tutti gli elementi per chiedere l’invio di una commissione d’accesso. Perché non si tratta solo di comportamenti leggeri, non si tratta solo di parentele. Posto che – chi conosce la storia della città non può negarlo – nella relazione di scioglimento di dodici anni fa pesarono, non poco, anche lontane parentele di alcuni consiglieri comunali.
Altrove – a Bari, per esempio – è stata inviata per molto meno. E anche l’onta del 2012, arrivò senza che il sindaco dell’epoca, Demi Arena, sia mai stato sfiorato da alcunché che riguardasse la criminalità organizzata, anche negli anni successivi. Ciò che indigna profondamente è la disparità di trattamento.