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Catanzaro e il fermento artistico e culturale dal basso. I giovani artisti: “I tempi sono maturi. Se non ora, quando?”

di Gaia Serena Ferrara – Lo scrittore e aforista Fabrizio Caramagna diceva: “Calabria e grigiore non possono convivere nella stessa frase. Dovunque ti giri scopri colori, cieli e orizzonti”.

La città di Catanzaro, in questo senso, non fa eccezione.

Sebbene nel tempo si sia inesorabilmente radicata la convinzione che “la città è morta, non offre niente e la gente non ha voglia di fare”, nel corso degli ultimi anni si è invece assistito ad un processo di graduale rinascita del tessuto artistico del capoluogo a partire dal basso. Forse complici l’isolamento e la stasi dovuti alla pandemia, a Catanzaro hanno ripreso ad emergere una serie di istanze di rinnovamento (individuali e/o collettive) tese a dimostrare la presenza di un forte fermento culturale e di un bisogno di cambiamento che non ha mai davvero cessato di cercare uno spiraglio per emergere.

Questo spiraglio esiste ed acquista sempre più vigore nella misura in cui ad alimentare il movimento contribuiscono le iniziative e l’intraprendenza dei giovani catanzaresi, che diventano attivi protagonisti della realtà locale. La spinta propulsiva vera e propria è la voglia di agire, di intervenire concretamente sul territorio e di contribuire a plasmarlo coinvolgendo la collettività e creando spazi e opportunità di aggregazione.

Nel reinventarsi in ambito artistico e culturale, non tanto per lavoro ma per passione, i giovani del capoluogo aspirano a promuovere e rilanciare il potenziale inespresso di Catanzaro che è possibile far fruttare a beneficio della cittadinanza.

Un ruolo decisivo in tal senso è stato quello del Festival Altrove che, dal 2014 e per i sei anni successivi, ha avuto il merito di risvegliare la cittadinanza dal torpore portando sul territorio nuove idee e fungendo anche da apripista e modello di riferimento per molti artisti e molte realtà che sono nate successivamente. “Per tanti anni il Festival ci è parso come il contenitore più adatto per mettere in atto alcune idee” afferma Vincenzo Costantino, manager culturale 36enne attualmente impiegato in ambito di consulenza nel terzo settore.

Altrove è giunto in un frangente di stasi, ed è intervenuto a scuotere i cittadini in un momento particolarmente buio per Catanzaro: nel 2014 i cinema storici avevano chiuso i battenti, i teatri stentavano a restare operativi. Forse anche questo ha contribuito a determinare il successo dell’iniziativa.

In questo senso, il Festival di Altrove ha rappresentato l’esempio perfetto di iniziativa che parte dal basso, che muove i propri passi perché motivata dalla passione e dalla voglia di tentare senza farsi scoraggiare dai luoghi comuni del “per fare qualcosa te ne devi andare e cercare fuori”.

Un altro valido esempio di questo genere di iniziative è rappresentato dai ragazzi che hanno dato vita a Factory Area, un progetto nato intorno alla fine del 2020 con lo scopo principale di portare a Catanzaro eventi culturali incentrati sulla musica dal vivo, ma che poi ha finito per allargare la partecipazione a chiunque avesse qualcosa da dire e da dare in materia di arte e cultura. “Non a caso il motto che ci anima recita ‘Sii parte del movimento’ a dimostrazione dell’intento che ci muove, quello di coinvolgere tutti senza restare circoscritti a un solo ambito o a un solo range di persone” spiega Alessandro Leone, interior designer di 23 anni e co-fondatore di Factory insieme a Stefano Santoemma (25enne laureato in giurisprudenza e presidente dell’associazione).

I ragazzi del collettivo hanno dato vita ad una serie di eventi e iniziative che hanno riscosso un certo successo da parte del pubblico, elemento che ha dato agli artisti la riprova della bontà e della qualità del lavoro che stavano facendo: basti pensare all’evento organizzato l’estate scorsa all’ex-Comac di Soverato che ha visto una grande partecipazione benchè spalmato su un’intera giornata e diversificato in diverse attività, fra cui un live painting e un concerto di musica dal vivo.

Si evince già da questi pochi esempi quanto sia forte la voglia di fare di questi ragazzi, ma per andare avanti non basta la scintilla, è necessario che si crei un connubio fra l’intraprendenza dal basso e l’interesse delle istituzioni. Avere la spinta dal basso e non sfruttarla a vantaggio della crescita di una comunità è uno dei più gravi errori che un’amministrazione possa commettere.
“La creatività ha bisogno di essere stimolata dalle persone, dagli ambienti, dalla rete, e qui purtroppo tutto questo stenta a radicarsi”. Ad affermarlo è Rocco del Franco (25 anni), assistente di volo che dedica il suo tempo libero all’arte in tutte le sue forme, in particolare alla street-art.

Rocco ha dato recentemente vita al progetto “Testa di Latta” traendo spunto e ispirazione dall’arte urbana di Barcellona, che vede una serie di artisti anonimi installare sui muri della città delle lattine riverniciate con su scritti dei messaggi dal contenuto sociale. Rocco, dunque, ha trapiantato questo concetto nella realtà di Catanzaro, “calabresizzandolo” ossia sostituendo i messaggi di impegno sociale con alcuni detti popolari tipici del dialetto catanzarese, quali “Focu meu” o “Ni scialamu”.

“Il senso ultimo – spiega – è quello di partire dalla realizzazione di qualcosa che appaghi me, permettendomi di esprimermi artisticamente, e che al contempo valorizzi la realtà locale riqualificando alcune zone degradate e abbandonate della città, portando colore”.

Si evince come a motivare i giovani artisti del panorama catanzarese sia spesso questa esigenza comune, di offrire alla città qualcosa che prima mancava, sopperendo ad una mancanza che i cittadini neanche avvertono finchè non arriva qualcuno o qualcosa a colmarla. La risposta positiva da parte del pubblico a ciò che viene offerto è fra le ragioni primarie che spingono questi giovani artisti a non demordere, a non farsi abbattere e a proseguire nei loro intenti.

Tuttavia, accade spesso che gli innegabili limiti e le problematiche legate al contesto locale del capoluogo finiscano per frustrare le aspirazioni e le iniziative dei creativi che tentano di dare qualcosa alla loro città.
Fra queste, fondi e finanziamenti, disponibilità degli spazi, maggior coinvolgimento dell’amministrazione vengono tacciate dai più come le principali problematiche, insieme alla necessità di migliorare le sinergie e la connessione fra realtà variegate.

E secondo Matteo Gregoraci, fotografo freelance di 32 anni, questo incontro fra contesti disomogenei e disgregati tra loro non può avvenire in assenza di uno spazio fisico e materiale dove la gente possa confrontarsi.
“Avere un punto di ritrovo, di riferimento, sul territorio e specialmente nel centro storico della città sarebbe fondamentale” commenta Matteo con riferimento esplicito al Polivalente di Catanzaro, una struttura comunale in Via Fontana Vecchia che è in disuso da anni e non viene più data in gestione nonostante per molto tempo sia stata il centro nevralgico di una serie di attività e laboratori.

Le molteplici voci che emergono nel panorama cittadino convergono quindi su un punto, ossia sulla presenza di un “gap”, di un divario enorme, fra chi vuole realizzare qualcosa e chi dovrebbe facilitare la strada affinchè ciò avvenga. Invece, spesso accade che alcuni passaggi che dovrebbero essere agevoli risultino molto più complicati del necessario, come la messa a disposizione di spazi pubblici. Nella pratica, ci vuole una sana dose di reciprocità affinchè un rapporto funzioni e sopravviva nel tempo: una possibile soluzione potrebbe essere favorire l’incontro fra l’intraprendenza degli artisti, tesa a migliorare l’offerta e renderla più omogenea, e un maggior grado di impegno e dedizione da parte delle istituzioni.

Migliorare il dialogo e il confronto fra pubblico, artisti e istituzioni, motivando così la collettività ad agire insieme, è un qualcosa di indispensabile anche per Giulia Mellace (in arte Surdesfondspeints) 24enne laureanda in architettura, appassionata e inseritasi nel mondo dell’arte visiva su tela grazie alla partecipazione al progetto “AmatoriArte”, una pagina d’arte collettiva nata sui social sulla scia del primo lockdown, che oggi è sulla strada giusta per evolversi ufficialmente in associazione non riconosciuta.

“Quella offerta da AmatoriArte – dice Giulia – non è stata solo un’opportunità espositiva ma soprattutto in termini di aggregazione. È stato entusiasmante e divertente fare qualcosa di gruppo e avere anche un’occasione di dialogo e confronto con persone diverse e parlare d’arte in un contesto digitale”.
Dopotutto l’arte non è solo un continuo dialogo e una continua contaminazione fra artisti, ma in primo luogo comunicazione fra esseri umani e, in quest’ottica, tutte le occasioni di incontro e di confronto che essa offre andrebbero colte a partire da una semplice esigenza: quella di dare espressione a più voci insieme.

 

La stessa esigenza anima gli organizzatori del “Panta Festival” un evento che si svolge nella località marittima di Montauro, dall’1 luglio al 31 agosto, e che oggi è alla sua seconda edizione grazie al successo ottenuto l’anno scorso.

“L’obiettivo ultimo – specifica il direttore artistico del festival, Federico Perreca – è quello di normalizzare sempre più questo tipo di eventi in modo che queste modalità di aggregazione collettiva acquisiscano una certa stabilità e durevolezza nel tempo e diventino una formula nella quale la collettività si ritrova, combattendo così il senso di estraneità del cittadino rispetto all’arte e alla cultura”.
Dopotutto, come dice Federico “Arte vuol dire veicolare un messaggio, ma è anche aggregazione e gratificazione del territorio”.

Fra chi, con la sua arte, punta proprio alla gratificazione e valorizzazione del territorio, c’è Matteo Marcucci (in arte Mista-mark), 34enne laureato in scienze dell’amministratore e illustratore per passione, che ha sempre vissuto a Catanzaro e ne conosce bene le dinamiche e le disfunzionalità.
“E’ evidente – commenta Matteo – che stia succedendo qualcosa di spontaneo, un movimento underground, che però in quanto tale rischia (se non promosso) di passare inosservato”. Ed è anche per questo che la sua è un’arte popolare, d’impatto, che approda su un territorio che ne è sostanzialmente privo e perciò dà i suoi frutti.

Quella di Mista-mark è la testimonianza di quanto il legame con il territorio giochi un ruolo fondamentale nella risposta e nell’apprezzamento da parte del pubblico perché è proprio questo legame a determinare il maggiore o minore successo dell’artista. Al contempo, un ruolo di rilievo lo riveste anche la mentalità che domina la realtà locale. In un contesto come quello catanzarese che abbonda di carenze strutturali, è quasi ovvio che l’arte e la cultura non siano considerate una priorità perché non si comprende che i creativi possono rappresentare una risorsa eccezionale per Catanzaro in termini di progresso, crescita, evoluzione.

La valorizzazione stessa del territorio non può prescindere dalla valorizzazione delle persone che per il territorio impegnano le loro energie e le loro risorse.

Come afferma Ilario Parentela, in arte punch311, operatore sociosanitario di 33 anni e appassionato di graffitismo dal 2005: “Se non avessi il posto in ospedale, io non potrei vivere della mia arte qui”. Nonostante Ilario rientri in quella vasta categoria di giovani catanzaresi che con la loro arte si sono resi utili alla collettività contribuendo ad abbellire e riqualificare varie zone della città (compreso il Parco della Biodiversità Mediterranea) la risposta della città alle sue opere non è molto soddisfacente.

Non sono invece mancati i  riconoscimenti al di fuori della Calabria: come l’essere stato selezionato dalla Zuegg nel 2018 per realizzare un manifesto visivo, o ancora essere stato scelto fra 150 artisti di graffiti, writing e street art in occasione della finale di Champions League per collaborare alla realizzazione di un museo a cielo aperto di fronte allo Stadio Meazza di Milano. “Mi rendo conto – afferma Ilario – di avere al mio attivo molti più progetti fuori dal territorio e molta più gratificazione”.

Da questo quadro variegato di testimonianze emergono una serie di considerazioni. Prima fra tutte, il dovere dell’amministrazione e delle istituzioni di farsi carico delle molteplici istanze che provengono dal basso, in primo luogo dal punto di vista economico/finanziario.

Il rischio insito nel perdurare di un atteggiamento di indolenza e indifferenza (che complica anche le operazioni più agevoli) è che non si crei aggregazione spontanea, ma che ognuno resti concentrato su sé stesso ignorando quello che ha intorno. Così facendo non verrà a crearsi mai quel tessuto connettivo che è imprescindibile affinchè una città maturi dal punto di vista culturale, a cominciare dal senso di appartenenza e di appropriazione da parte del cittadino verso tutto ciò che viene fatto “dalla città per la città”.

Una seconda considerazione attiene al fatto che migliori sinergie, migliori connessioni e maggiori collaborazioni fra realtà diverse possono incidere positivamente sulla capacità di risposta del territorio, anche perché un fermento più omogeneo e strutturato risulta più credibile di fronte alle istituzioni e ha meno probabilità di essere ignorato.
La sordità e l’incompetenza dell’amministrazione, ma anche la natura distratta della città stessa nella quale sembra prevalere ancora una mentalità individualista, rischiano però di frustrare queste iniziative al punto da farle scemare, contribuendo alla diffusione della convinzione che “il gioco non valga la candela”.

Catanzaro non può permettersi di perdere queste energie positive, spingendole a lasciare il territorio, ma deve compiere ogni sforzo necessario per valorizzarle.

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