di Simone Carullo – Marzo 2020: l’Italia, messa in ginocchio dal Covid, si ferma. Una donna reggina, anzi una pellarese, è costretta a sua volta a fermarsi e in questo “tempo sospeso”, nel limbo artificiale determinato dalla tragedia i cui numeri gravitano come annebbiante pulviscolo nello spaesamento generale, la donna si trova a fare i conti con se stessa. Sarà l’occasione di “guardare nello specchietto retrovisore” e riconoscersi la tenerezza e l’indulgenza che non si è mai concessa. Ma guardare al passato non è soltanto un atto nostalgico, figlio dei tempi sospesi, ma è anche un’azione rivoluzionaria capace di rieditare il presente (almeno quando questo tornerà a essere attualità). Sarà l’occasione, cioè, per fare della sé del futuro una persona nuova, una persona capace di abitare la propria verità, di “vivere per il nudo piacere di vivere”.
Caterina Azzarà, l’autrice di “Diario di un tempo sospeso” (pp. 53), edito da Albatros per la collana “Nuove voci”, ci trasporta con una prosa asciutta e efficace all’interno della bufera che la agita. Sullo sfondo, fuori dalla finestra, una Pellaro immobile (nella quale l’unica parvenza di movimento è data dal vento sempiterno che la sferza); dentro di lei un dialogo interiore foriero di cambiamenti, non di ideali – che quelli restano ben radicati ad un passato che non c’è più ma che sarebbe il caso ci fosse – ma di prospettive. Giù le maschere, anche quella dei sorrisi sempre disponibili, ecco l’autrice.
La scrittura diaristica è per antonomasia una scrittura personale, intima, nondimeno, attraverso lo strumento del diario, l’autrice è riuscita a raccontare al meglio la solitudine, la paura, il senso di smarrimento e di precarietà che durante il lockdown hanno colpito tutti e ciascuno a suo modo. In questo senso adempie al suo compito di testimonianza storica e sociale.
Leggendo “Diario di un tempo sospeso” ci ritroviamo d’un tratto catapultati nel periodo del lockdown, costretti a ricordare dove eravamo il giorno della chiusura o il 25 aprile del 2020, quando la Festa in cui la Liberazione assumeva un significato del tutto inedito. Ci troviamo a vivere di nuovo quei momenti, a ripensare a cosa pensassimo, a quali paure albergavano nel nostro cuore, quali riflessioni occupavano la nostra mente, quali parole usavamo per difenderci. E nel nostro orizzonte quali speranze proiettavamo, nella nostra anima quale dolore divampava, nel silenzio quali domande… e tra le tante vale ancora per tutti quella di Caterina: “Quando finirà, io chi sarò? Noi chi saremo?”
“Diario di un tempo sospeso” è una lettura breve ma intensa, è la storia di una donna che passa idealmente “dal se al sé”, è la storia di una di noi, è la nostra Storia.
L’autrice: Caterina Azzarà vive a Pellaro, in provincia di Reggio Calabria, dove è nata nel 1955. Per molto tempo ha lavorato in banca uscendone disposta a sperimentare quello che altre figure significative nella sua vita l’avevano spesso incoraggiata a fare: dedicarsi alla scrittura.
L’autrice dice infatti che l’opera che avete davanti è stata un dovere. Lo doveva alla sua maestra Nena che conservò per sempre i suoi temi in un cassetto. Lo doveva a chi, tanto tempo fa, non senza un preciso messaggio, le aveva regalato una stilografica verde. Lo doveva a sé stessa. E lo ha fatto. Lo ha fatto invogliata quasi dal lockdown, da questa insolita pausa dalla routine quotidiana, usando questo tempo sospeso per riappropriarsi di sé e rivelarsi agli altri.