“30 anni dalla strage di Capaci in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Il ricordo di quella tragedia non si spegne. Sia sempre un monito contro le mafie e per la legalità”.
Lo scrive su Twitter Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria.
“Il 23 maggio del 1992 l’Italia veniva colpita al cuore dalla strage di Capaci in cui persero la vita Giovanni #Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Fu uno dei momenti più drammatici della nostra storia recente. Il sacrificio di questi martiri, però, non è stato vano. A distanza di 30 anni c’è un sentimento forte contro ogni forma di malaffare, c’è la consapevolezza che dobbiamo essere tutti da una sola parte, quella dello Stato. Se una settimana fa abbiamo constatato tutto questo nella manifestazione organizzata a Diamante con il Sottosegretario Franco Gabrielli, oggi sarò a Roma insieme a tante persone per partecipare al Sit-in organizzato a sostegno di Nicola Gratteri. Con il suo lavoro il Procuratore Gratteri ha restituito fiducia a tanti cittadini ed è per questo che rinnoviamo, ogni giorno, il nostro sostegno alla sua azione che ha come fine solo il bene dell’Italia. Siamo con Nicola Gratteri e con tutte le persone che operano per affermare la cultura della legalità, necessaria per pensare a un futuro migliore”.
Così su Facebook il Coordinatore Regionale di Italia Viva Calabria, Sen. Ernesto Magorno.
A trent’anni di distanza, il ricordo della strage di Capaci non è solo un anniversario più importante degli altri che si ripetono a volte con una certa stanchezza, ogni dodici mesi. Deve essere un motivo per riflettere con la massima attenzione su quanto accadde il 23 maggio 1992 nei pressi dello svincolo autostradale di Capaci, per cercare di capire meglio, trovando qualche risposta in più. Ad esempio su tutte le responsabilità precise della mafia per quell’attentato, che ha inciso in maniera così profonda sulla storia dell’Italia repubblicana; ma anche su eventuali responsabilità dello Stato, della politica, della magistratura, sul clima di quegli anni, sugli eventi che hanno preceduto e seguìto la strage in cui morirono Giovanni Falcone sua moglie Francesca Morvillo e i tre poliziotti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. La mafia fece esplodere la bomba. Come i neofascisti furono gli autori degli attentati che hanno provocato morti, dolori e hanno insanguinato l’Italia tra il 1969 e il 1974, da piazza Fontana a piazza della Loggia, e Aldo Moro fu sequestrato e ucciso dalle Brigate rosse. Ma non sappiamo ancora tutto, ci sono da chiarire molti aspetti collaterali, sugli ambienti e sui movimenti che ruotarono attorno a quelle responsabilità e che cosa rese possibile quei delitti, quali complicità ci furono prima e quali coperture si misero in atto dopo, e per conto di chi. Sia per la strage di Capaci ma ancor di più per quella di via D’Amelio, che appena due mesi dopo massacrò l’esistenza di Paolo Borsellino insieme ai cinque agenti della sua scorta. Di e su Giovanni Falcone si è scritto tanto e tanto si continuerà a scrivere, a me piace ricordare in particolare una sua frase che in tutti questi anni ho sempre tenuto ben presente: “Gli uomini passano, le idee restano, restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Ecco io vorrei che le sue idee e le sue tensioni morali continuassero a camminare sulle gambe di tutti noi”. Lo scrive in una nota Amalia Bruni, leader dell’opposizione in Consiglio regionale.
“Sono trascorsi trent’anni dalla strage di Capaci, ma l’insegnamento di Giovanni Falcone sembra non sia servito a nulla! La strage del 23 maggio 1992 ove persero la vita la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, sembra una realtà lontana e non sembra che i fatti che si sono susseguiti abbiano veramente aperto quello spartiacque che avrebbe dovuto rafforzare ancor più la lotta contro le mafie. Diceva Giovanni Falcone: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Tutto vero! Tanto si è fatto nel tempo per combattere la criminalità organizzata che, dopo il periodo buio delle bombe e degli attentati, ha iniziato un nuovo percorso più sotterraneo e pericoloso: l’inserimento ed il condizionamento delle istituzioni per aumentare potere ed affari, coinvolgendo tutti con il solo fine dello sfruttamento al massimo delle risorse. Tutto chiaro, tutto ben delineato. Ma, quello che lascia molto perplessi è il sistema giustizia che non sembra funzionare adeguatamente. Non vi è uniformità di azione. Tutto è lasciato sulle gambe di pochi uomini che hanno e stanno sacrificando la propria vita e quella delle famiglie per portare avanti una battaglia vera e senza se e senza ma. Ma,non è il sistema che combatte. Sono i singoli, con la loro disponibilità, sensibilità, moralità, coerenza, capacità, volontà! Il sistema appare, invece, molto condizionato, infiltrato, non reattivo. Lontano dalle bombe, dagli attentati, dalle stragi, a distanza di trent’anni si deve registrare un silenzio devastante che ha consentito alla criminalità organizzata di proseguire nella sua azione e di inserirsi anche nei gangli vitali delle istituzioni. Giovanni Falcone parlava di idee che avrebbero dovuto camminare sulle gambe degli uomini. Ma, quanti uomini oggi hanno idee e possono ritenersi veramente liberi? Le elezioni del nuovo Procuratore Nazionale della DDA è la riprova di come i condizionamenti ancora esistono e sono molto forti anche dinnanzi a scelte così importanti. Ha affermato Giuseppe Marra (Autonomia e Indipendenza), componente del CSM, che “Gratteri è il simbolo della lotta alla criminalità organizzata, come si evidenzia nel processo “Rinascita Scott” che si sta svolgendo contro le cosche della ‘ndrangheta. Gratteri è anche il simbolo dei magistrati che non hanno alcuna relazione con la politica. E questo si può vedere nelle interviste rilasciate contro le recenti riforme della giustizia. Ed è il simbolo anche di quei colleghi che non sono mai stati iscritti alle correnti della magistratura”. Infine, non si può non richiamare, tra l’altro, l’intervento del consigliere laico Stefano Cavanna, in quota Lega: “La premessa del primo presidente Curzio mi hanno un po’ turbato. Dire che bisogna supportare con il massimo dei voti il candidato che sarà eletto, mi fa pensare che già si sa chi sia il vincitore. Non mi è mai piaciuto il conformismo e non mi piace neanche in questo caso. Questa è una scelta di due divisioni diverse di questo ufficio, perché dalle audizioni sono emersi due modi di operare in modo opposto. È proprio per questo è indispensabile partecipare e votare i referendum non potendo essere il CSM gestito da gruppi che manifestano o fanno pensare a posizioni partitiche contrapposte!”. Lo afferma in una nota il commissario regionale della Lega, Giacomo Francesco Saccomanno.