“Eravamo tornate ieri in presidio per reclamare a gran voce, davanti al Tribunale del riesame di Reggio Calabria, la liberazione dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per Marjan Jamali e Amir Babai, sottoposti per altro a carcerazione preventiva da più di 17 mesi.
E lo facevamo con rabbia, dopo aver appreso che il Collegio giudicante del Tribunale di Locri aveva di nuovo ed inspiegabilmente rigettato la richiesta di modifica della misura cautelare.
Oggi, dopo la decisione del Tribunale del riesame di Reggio Calabria, che ieri sera ha finalmente liberato Marjan da ogni inutile misura vessatoria, gioiamo per lei, ma sentiamo la necessità di ribadire con fermezza il nostro sdegno verso quel muro di leggi che lo stato italiano ha alzato per trovare un capro espiatorio proprio tra chi in realtà fugge per ottenere protezione e salvezza.
Sdegno che viene esacerbato dal pensiero della terribile oppressione, aggravata dall’ignavia di qualche magistrato, prodotta da impianti accusatori spesso avviati con improvvisazione e sempre portati avanti con processi inquisitori e con una abnorme durata della carcerazione preventiva.
Marjan Jamali cercava solo protezione per sé stessa e per il figlio di 8 anni, quando nell’ottobre 2023 sono arrivati sulle sponde di un mare non più (o forse mai) culla di civiltà, ma tomba per le speranze di chi sogna una vita migliore. Nell’udienza dello scorso 24 marzo, presso il Tribunale penale di Locri, lei ha reso, con tanta fierezza e sincerità, una testimonianza forte e chiara, ripercorrendo i motivi che l’hanno spinta a lasciare il teocratico Iran, nel quale era esposta ai pericoli di un ex marito violento, a cui per la legge misogina iraniana spettava l’affidamento esclusivo del figlio al compimento dei suoi 8 anni. Ha raccontato e dimostrato di aver pagato 14 mila euro ai veri trafficanti (9mila per sé e 5mila per il figlio), è entrata nei dettagli di quel lungo viaggio in cui ha subito un tentativo di stupro da quelle stesse persone che – per vendetta – l’hanno poi accusata di essere parte dell’equipaggio e che poi si sono resi irreperibili.
Le accuse a Jamali si basano sulle dichiarazioni di questi soli tre passeggeri – su ben 102! – che appena sbarcati hanno sostenuto che la donna aveva il ruolo di raccogliere i cellulari prima della partenza.
Sulla base di quelle sole testimonianze, per altro raccolte senza ulteriori approfondimenti, riferite dalle stesse persone che le avevano promesso ritorsioni, per la procura avrebbe svolto “mansioni meramente esecutive e di collaborazione nell’operazione coordinata da trafficanti attivi sul territorio turco”.
Ma l’uomo che ha materialmente condotto la barca, l’egiziano Faruk, chiamato in qualità di testimone dopo aver già patteggiato la pena, ha dichiarato in udienza, come già avevano fatto altri testi, che Marjan e Amir erano migranti come tutti gli altri e non c’entravano niente con l’organizzazione. Come se non bastasse, appena arrivata Marjan è stata separata dal figlio e arrestata senza che le venissero date comprensibili spiegazioni. Quel figlio tanto amato che ha poi potuto riabbracciare solo a distanza di 7 mesi, durante i quali è stata reclusa nel carcere di Reggio Calabria. Adesso Marjan si trovava ai domiciliari e con l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico, misure oppressive di cui da mesi abbiamo invocato la revoca, ieri per fortuna decisa dal Riesame, in attesa della conclusione del processo prevista per il 28 maggio.
Altrettanto inspiegabile è la vicenda di Amir Babai, un uomo resosi doppiamente “colpevole”: sia di scappare da un regime oppressivo per costruirsi una vita migliore e sia di aver difeso Marjan, sulla barca, dal tentativo di violenza che stavano mettendo in atto proprio coloro che poi hanno accusato anche lui di essere uno scafista. Sono ormai più di 500 giorni che Babai sta scontando, recluso in carcere, una ingiusta, afflittiva ed ingiustificata misura cautelare di cui, anche alla luce della decisione di ieri, invochiamo l’immediata revoca.
Migrare non è un reato, l’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione e il successivo Decreto Cutro sono strumenti che non risolvono i flussi migratori, ma che li criminalizzano e fuorviano dalla ricerca dei veri colpevoli e trafficanti”.
Così in una nota il Comitato Free Marjan Jamali e Comitato OLTRE I CONFINI: Scafiste tutte.