di Roberta Mazzuca – “La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente”. Così scriveva Bertolt Brecht, poeta e artista tra coloro che più hanno vissuto i due grandi conflitti che hanno sconvolto il mondo nel XIX secolo. “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, recita “Soldati”, una delle poesie più famose di Giuseppe Ungaretti che, di fronte alla guerra e alla negazione di ogni umanità, prova a raccontare il trauma traducendo in parole l’indicibile. Il potere della parola, il potere del racconto, il potere della cultura, e il potere dell’arte. Potere di ricostruire, dinanzi a distruzione, devastazione, macerie e morte, la possibilità di combattere quella “guerra che verrà”. Quella guerra che è arrivata, il 24 febbraio 2022, nel cuore dell’Europa, come un pugno nello stomaco, riportandoci indietro di cento anni, gettando davanti ai nostri occhi, nelle nostre vite, e dentro i nostri sensi, tutta la crudeltà, l’orrore, l’atrocità, che finora molti di noi conoscevano soltanto nei libri di storia. Quelle pagine che tanto abbiamo sfogliato, quei racconti che tanto ci sembravano lontani e fuori da ogni logica attuale, oggi rappresentano le principali pagine della nostra vita, macchiate di sangue e di odio, che leggiamo ogni giorno non su pezzi di carta, ma negli occhi di chi soffre ingiustamente. “Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro. Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto. Ma nel cuore nessuna croce manca. È il mio cuore il paese più straziato”, scriveva ancora Ungaretti in “San Martino del Carso”.
Di distruzione si parla, e non solo materiale, in ogni guerra. Distruzione di case, di luoghi, di piazze, di città. Distruzione di famiglie, vite umane, distruzione di anime, distruzione di pace. Distruzione di umanità, distruzione di giustizia, distruzione di speranza. Distruzione di cultura e di arte, come simboli di quella libertà di espressione che oggi da Putin vuole essere negata. Simboli di resistenza, di ripresa, di lotta, di urla contrarie all’assurdità di una guerra che rischia di cancellare la storia stessa del popolo ucraino. Simboli da distruggere anch’essi, dalle università ai musei, dai centri storici all’intero patrimonio culturale dell’Ucraina, la nuova epurazione culturale messa in atto dall’esercito russo si unisce alle strazianti immagini dei morti e dei profughi affollati nelle strade. Dopo la distruzione del memoriale dell’Olocausto di Babyn Yar e del Museo di Storia Locale di Ivankiv, che hanno causato la perdita di oltre venti opere della pittrice naïf Maria Prymachenko, i bombardamenti russi hanno distrutto l’Università e l’Accademia di Cultura di Kharkiv, colpendo la simbolica piazza delle Libertà da cui si accede al Yermilov Centre, uno dei più importanti musei di arte contemporanea. Ancora, uno degli attacchi più devastanti quello sferrato nel pomeriggio del 16 marzo sul teatro di arte drammatica della città di Mariupol, dentro il quale avevano trovato riparo tra le 1.000 e le 1.500 persone, alcune sopravvissute. Una città, quella di Mariupol, da 400.000 abitanti, completamente sventrata dalla guerra, e di cui proprio il Ministero dei Beni Culturali italiano si è fatto carico annunciando una futura ricostruzione del suo teatro: “L’Italia pronta a ricostruire il Teatro di Mariupol”, scriveva il ministro della Cultura Dario Franceschini su Twitter. “Approvata dal Consiglio dei ministri la mia proposta di offrire all’Ucraina mezzi e risorse per riedificarlo appena sarà possibile. I teatri di ogni paese appartengono a tutta l’umanità”.
Della stessa idea anche Fabio Gallo, alla guida della Fondazione Culturale “Paolo di Tarso”, specializzata in digitalizzazione di Beni Culturali di pregio che ha sede anche a Cosenza, dove ha fondato il Centro di Alta Competenza CONNESSIONI presso la Biblioteca Nazionale della Città Storica. Proprio a Gallo, che si è reso disponibile a fornire al ministro Franceschini le competenze e le tecnologie della Fondazione per contribuire al progetto di ricostruzione, abbiamo rivolto alcune domande, per meglio comprendere la portata simbolica e materiale di questa proposta.
RICOSTRUIRE LA MEMORIA CANCELLATA DAI BOMBARDAMENTI: FABIO GALLO RACCONTA IL MONDO DIGITALE
“Il centro CONNESSIONI svolge le proprie attività partendo dal recupero di beni librari proprio all’interno dello straordinario luogo della Biblioteca Nazionale posto al centro della città storica di Cosenza, definita l’Atene della Calabria. Per dare significato a questa idea di “Atene della Calabria” abbiamo pensato, invece di recarci tutti in Svizzera o a Bolzano, dove sorgono i grandi centri che propongono innovazioni tecnologiche ad alto livello, di rimanere tutti nella nostra città e in Calabria”, spiega Fabio Gallo ai nostri microfoni. Non è la prima volta che la digitalizzazione interviene nella ricostruzione di un bene culturale. Pensiamo, come ci ricorda anche il nostro interlocutore, al crollo del tetto ligneo della Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami al Foro Romano, accanto ai Fori Imperiali, avvenuto il 30 agosto 2018. “Questa chiesa ha uno dei tetti lignei più belli del mondo, realizzato secoli addietro”, continua Gallo. “Incredibilmente, in una bellissima giornata di sole di agosto, il tetto è crollato, distruggendosi in mille pezzi. Fortunatamente, però, proprio noi della Fondazione “Paolo di Tarso” avevamo digitalizzato questo tetto venti giorni prima, e il ministero della Diocesi di Roma ha potuto così ricostruirlo perfettamente, restituendo uno dei centri più importanti, a livello turistico, dei Fori Imperiali”. Un esempio che fa comprendere come la tecnologia e la digitalizzazione possano essere utilizzate per rimettere in sesto anche il Teatro di Mariupol, “perché al suo interno è stata realizzata una quantità importante di immagini che, messe insieme grazie ad un software che le unisce per punti, permettono di non sbagliare di un millimetro nella ricostruzione. Noi siamo in grado di effettuare questo lavoro, per cui ci siamo offerti per realizzarlo gratuitamente, nella speranza che il ministro Franceschini, persona accorta e molto intelligente, così come ha fatto anni addietro dinanzi ad un nostro lavoro che lo ha colpito profondamente, per il quale ha dato 90 milioni di euro alla città storica di Cosenza e alla sua riqualificazione, possa accogliere la nostra proposta”. Si fa qui riferimento a “Cosenza Cristiana”, il primo Museo Digitale Italiano per assicurare alle generazioni il diritto allo studio e alla conoscenza. La più imponente opera di digitalizzazione mai operata in una città storica d’Italia, che fa ben comprendere il rispetto che la Fondazione “Paolo di Tarso” ha per il patrimonio culturale di ogni popolo e le potenzialità di cui dispone per valorizzarlo. “Se si sa lavorare, se si hanno tecnologie avanzate, se si hanno competenze specifiche, proposte di questa portata possono essere accolte”.
Città e culture miseramente bombardate, rase al suolo, “che la Federazione Russa non sta bombardando normalmente”, – afferma Gallo – “sta letteralmente adeguando al suolo tutte le costruzioni di tutti gli edifici per cancellarne la memoria”. Una memoria che può essere ricostruita, grazie ad una delle prime proposte a livello internazionale che parte proprio da Cosenza.
“La digitalizzazione è l’atomica della cultura e della pace”, risponde Gallo quando gli chiediamo se, di fronte alla guerra, la tecnologia e la digitalizzazione possono davvero essere considerate delle potenti armi o, al contrario, delle irraggiungibili chimere. “La digitalizzazione proietta nel futuro e dà la possibilità a tutti di avere diritto allo studio, alla conoscenza, alla memoria. Un popolo senza memoria non esiste più, e i bombardamenti servono proprio a questo, a cancellare la memoria e quindi privare il popolo di un’identità. La digitalizzazione, allora, fissa questa identità nella storia, in modo che non si potrà mai più cancellare”. Uno strumento potente, un’arma capace di riportare a nuova vita i beni culturali e, con essi, ricostruire la dignità e la storia di un intero popolo.
Un interessante riferimento, poi, allo spazio e a un futuro digitale non così troppo lontano: “È noto dalla CNN che addirittura nel 2025 sarà collocata nello spazio una struttura talmente grande che potrà ospitare 400 persone, turisti spaziali, con tutte le sale divertimento e addirittura gli uffici commerciali. Questo cosa significa? Che mentre noi riteniamo di essere ancora fermi, il mondo è andato incredibilmente avanti grazie al mondo digitale. Trasmettiamo dati nelle stazioni spaziali da terra attraverso Internet, e un domani non potremo mica portare le statue di Michelangelo o del Bernini, o i quadri di Caravaggio. Potremo invece portare delle stampe o proiettare degli ologrammi delle opere d’arte”. Un modo di concepire l’arte e la cultura nuovo, che emerge oggi anche dal fenomeno degli NFT (non fungible-token), attraverso i quali è possibile vendere opere d’arte a cifre astronomiche, come nel caso di un’opera digitale di crypto art dell’illustratore Beeple intitolata “The Last 5.000 Days” e costituita da un monumentale file jpg con scene surreali e disegni di politici in un collage di 5.000 immagini create e postate dal 2007 al 2021, venduta a 60 milioni di dollari. “Ecco, questo è il mercato del futuro, sta cambiando tutto: una volta era il marmo bianco di Carrara, oggi è il mondo digitale”, conclude Gallo.
E allora, di fronte al tentativo di bombardare, insieme ai luoghi fisici e alle persone, la cultura, l’identità, il coraggio, di fronte al tentativo di intimidire la nostra libertà di espressione e di parola, la cultura rappresenta forse il più forte strumento di pace da tutelare, la più potente arma da utilizzare contro l’ignoranza, l’odio, e contro ogni guerra presente, ancora oggi, nel mondo. Di fronte a guerre che non hanno insegnato nulla, e che si ripetono sempre uguali a se stesse, se non più terribili delle precedenti, la cultura, l’innovazione, l’arte, insegnano invece a costruire e non a distruggere, a fare rete anziché dividere, a creare anziché demolire, e ad immaginare il nostro futuro piuttosto che ripiombare nel nostro più devastante passato.