“L’accesso alla salute, alla prevenzione e alla dignità non può fermarsi davanti a un cancello. Le donne detenute della nostra regione continuano a vivere in condizioni inaccettabili, tra sezioni marginali, cure sanitarie assenti e percorsi di reinserimento pressoché inesistenti. È arrivato il momento di accendere un faro su questa realtà ignorata”.
È quanto dichiara Anna Comi, coordinatrice delle Pari Opportunità Uil Calabria, presentando il focus dedicato alle carceri femminili della regione e lanciando un appello alla Garante regionale per i diritti delle persone detenute, Giovanna Francesca Russo, affinché si faccia promotrice di un intervento concreto su questa grave emergenza di genere.
“In Calabria – spiega Comi – le donne detenute sono ospitate in due sole sezioni femminili, a Reggio Calabria e Castrovillari, entrambe all’interno di istituti a prevalenza maschile. La marginalità numerica si traduce in marginalità istituzionale: ginecologia una volta al mese, nessun servizio ostetrico continuativo, screening oncologici come Pap test e mammografie assenti. Una negazione esplicita del diritto alla salute, aggravata da strutture vetuste, sovraffollamento e personale insufficiente”.
Il rapporto realizzato dal Coordinamento Pari Opportunità Uil Calabria, che si ispira alle osservazioni del rapporto Antigone, evidenzia un quadro disomogeneo e preoccupante: a Reggio Calabria mancano acqua calda, spazi adeguati, attività trattamentali, supporto medico 24 su 24 e servizi educativi efficaci. A Castrovillari, pur in condizioni migliori, si registrano sovraffollamento, carenze di mediatori culturali, psichiatri e ostetriche, e solo una minima parte delle donne ha accesso a lavoro o percorsi professionalizzanti.
“È il carcere ad adattarsi alle esigenze della persona, non il contrario – continua Comi –. Le detenute, spesso con fragilità pregresse, non possono subire una doppia pena: quella giudiziaria e quella dell’oblio istituzionale”.
A peggiorare il quadro è l’effetto del nuovo Decreto Sicurezza, che ha reso facoltativo il rinvio della pena per le madri con figli sotto i tre anni. Con la chiusura dell’unico Icam (Istituto a custodia attenuata per madri) del Sud a Avellino, le uniche strutture restano ora tutte nel Nord Italia.
“È una misura che rischia di spezzare famiglie e diritti. Allontanare le madri centinaia di chilometri dai propri figli e dalla rete sociale è una scelta punitiva, non educativa, che contrasta con l’equilibrio costituzionale e la stessa giurisprudenza consolidata”.
“Essere donne – conclude Anna Comi – non può voler dire essere invisibili, soprattutto nei luoghi dove la vulnerabilità è più forte. Alle donne detenute devono essere garantiti pienamente i diritti alla salute, alla prevenzione, all’educazione, alla maternità dignitosa e al reinserimento. Perché la vera giustizia si misura anche dalla qualità della detenzione”.