“Il silenzio mediatico sui referendum del 12 giugno, mantenuto soprattutto dalla comunicazione pubblica, è determinato da più fattori: l’unico partito politico con rappresentanza parlamentare che ha curato l’iniziativa referendaria, la Lega, ha già votato alla Camera una legge di riforma dell’ordinamento giudiziario (la riforma Cartabia) che in parte si discosta dai quesiti proposti; gli altri partiti che compongono la maggioranza di Governo, tra i quali il Pd, sono contrari al voto e hanno uno specifico interesse affinché non si raggiunga il quorum; la magistratura, da parte sua, rappresenta un centro di potere autarchico e autoreferenziale, che non tollera intrusioni esterne”. A dirlo all’AdnKronos è l’avvocato Valerio Murgano, presidente delle Camera penale di Catanzaro e coordinatore delle Camere penali calabresi. Un ‘silenzio’, quello intorno ai referendum, che ha una regia?
“Per mia natura – spiega Murgano – non sono complottista. Mi pare abbastanza ovvio che chi non condivide ideologicamente e politicamente i quesiti li osteggi. Certamente l’esercizio di ‘insabbiamento’ – invece che un confronto leale sui temi referendari – la dice lunga sullo stato di salute della nostra democrazia. Non credo che sia il particolare tecnicismo dei quesiti e/o l’assenza di appeal mediatico il vero problema. Semplicemente si vuole che il referendum fallisca per ragioni politiche e per salvaguardare interessi particolari”. Dei quesiti referendari, sottolinea, “ne ha paura la politica: la vittoria dei ‘sì’ attesterebbe per l’ennesima volta l’incapacità della classe dirigente di questo Paese di governare e legiferare sui grandi temi. Come è stato efficacemente detto, ‘la politica cede fette di sovranità ogni giorno, per poi lamentarsi del fatto che la magistratura la eserciti’; ne ha timore la magistratura: per la prima volta l’assetto dell’ordinamento giudiziario verrebbe modificato senza il suo diretto e determinante coinvolgimento; ne hanno timore quegli intellettuali, professionisti dell’antimafia e tutti quegli individui che sinteticamente potremmo definire ‘giustizialisti’. Gli stessi che se coinvolti, direttamente o indirettamente, dalle inchieste giudiziarie diventano i più accaniti sostenitori del ‘garantismo’”.
Quanto al rischio flop relativo al quorum, il coordinatore delle Camere penali calabresi evidenzia: “Più che di rischio, può parlarsi di quasi certezza. D’altronde, ad affossare la buona riuscita dell’appuntamento referendario ci ha pensato la Consulta ‘bocciando’ le proposte sui temi più incisivi e affascinanti per l’opinione pubblica: eutanasia legale e legalizzazione della cannabis. Nondimeno credo sia necessario continuare a parlare alla gente sino all’ultimo momento utile, esponendo le ragioni per le quali è essenziale che dal referendum giunga forte un monito alla politica e alla magistratura: non è più tollerabile la condizione in cui versa il ‘sistema giustizia’ e con esso la politica penale di questo Paese. I quesiti referendari, pur con gli evidenti limiti tecnici che li caratterizza, possono rappresentare un primo e fondamentale passo verso il superamento della condizione patologica in cui ci troviamo”. Infine, il presidente della Camera penale di Catanzaro si sofferma sul possibile deterrente in vista del voto rappresentato dalla circolare, firmata dai ministri Lamorgese e Speranza, che obbliga ad andare al voto con la mascherina.
“Purtroppo – chiosa – credo che la vera deterrenza sia rappresentata dalla mancanza di consapevolezza dei cittadini rispetto all’importanza che riveste l’esercizio di partecipazione democratica del voto referendario, soprattutto su questi temi; e mi consenta senza alcun intento polemico, soprattutto in Calabria”.
(AdnKronos)