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Le dimissioni degli altri

di Claudio Cordova – Da un po’ di tempo a questa parte il Partito Democratico e il centrosinistra reggino hanno messo nel mirino la direttrice generale dell’Asp di Reggio Calabria, Lucia Di Furia. Negli ultimi giorni, i Democratici sono insorti per la nomina irregolare del direttore sanitario dell’Asp di Reggio Calabria, che il Pd ha fatto emergere con un’interrogazione nel Consiglio regionale calabrese. Una nomina illegittima, giusto che sia saltata con le dimissioni della persona interessata.

La DG dell’Asp non è nuova agli strali del Partito Democratico.

Nel mese di agosto, il Pd, così silente, così dormiente, rispetto alle emergenze della città, alle istanze dei cittadini, ha imbastito una vera e propria crociata contro la chiusura e lo spostamento del Poliambulatorio di Gallico, periferia nord della città, ubicato in un immobile in cui l’Asp si trova in affitto. Ha anche rivendicato la vittoria quando, un paio di settimane dopo, l’Asp ha comunicato il rinnovo del contratto d’affitto della struttura per un anno.

E quanto sarebbe curioso sapere a chi l’Asp paghi l’affitto e perché il Pd se la sia presa così a cuore, affinché l’Azienda continuasse a pagarlo… Ci stiamo lavorando. Restate connessi.

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In questi giorni, invece, il Pd ha accusato la DG Di Furia di aver violato il proprio preciso obbligo di controllare il possesso dei requisiti da parte del professionista individuato per il ruolo di direttore sanitario, poi nominato benché non presente in alcuno degli elenchi regionali degli idonei al ruolo questione. E così, i Dem, da giorni sollecitano non solo la stessa Di Furia a fare un passo indietro, ma anche il governatore Roberto Occhiuto, a sollecitare le dimissioni oppure a rimuovere Di Furia dall’incarico.

“Questa storia è molto grave per la tenuta della credibilità del Servizio sanitario della Calabria” dicono i Dem. E non dicono il falso. La sanità in Calabria, per anni gestita e governata anche dal centrosinistra, è stata ed è probabilmente il luogo più sudicio tra quelli istituzionali. Un ambito in cui si muove gran parte del bilancio regionale e in cui si muovono, da decenni, spesso i soliti noti, che sui servizi fondamentali destinati ai cittadini hanno eretto palazzi di denaro.

Una zuppa maleodorante di ‘ndrangheta, corruzione, massoneria. E qualche fuoriclasse riesce anche a unire tutti questi aspetti.

Secondo il Pd, Di Furia avrebbe contribuito, con la propria negligenza a dare (ancora) una pessima immagine della sanità calabrese. Secondo altri, invece, la DG nata in provincia di Teramo, quindi non reggina e nemmeno calabrese, avrebbe spezzato alcuni equilibri nella melassa del sistema reggino.

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E Dio solo sa quanto chi scrive vorrebbe una città amministrata, nei suoi luoghi più importanti – dalla sanità all’istruzione, passando per la giustizia – solo da persone che con il territorio non hanno nulla a che fare.

Chi segue il territorio sa che alcune delle criticità che il centrosinistra reggino addossa a Di Furia sono reali. Si pensi, su tutte, alla questione delle strutture psichiatriche. Ma Di Furia è la stessa che, dopo tanto tempo è riuscita a presentare un Bilancio dell’Azienda. E in questi anni l’Asp ha anche sbloccato la specialistica ambulatoriale sul territorio dopo una decina d’anni, ha modernizzato la rete dati, anche con assunzioni di professionisti ad hoc, ha stabilizzato il personale Covid e proprio in queste settimane l’Asp ha anche indetto il concorso per l’assunzione degli Oss. Senza contare l’attenzione per gli ultimi (cui il centrosinistra dovrebbe – sulla carta – essere particolarmente affezionato), con particolare riferimento alla medicina penitenziaria, oggi dotata anche di un sistema di telemedicina.

Ora, se il Pd, in fondo, può portare avanti questa battaglia anche per giustificare la propria esistenza (o provare a dimostrarla, che già sarebbe qualcosa), pochi interventi, in questi anni, sono stati così sgarbati (oltre che grotteschi) sotto il profilo istituzionale, come quello del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, che ha chiesto a mezzo stampa le dimissioni di Di Furia.

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Sgarbato perché Falcomatà non è un segretario di partito, è un’Istituzione e domani, dopodomani o tra un mese potrebbe (e dovrebbe) trovarsi a collaborare con l’Asp e con il suo vertice per questioni anche più importanti per la collettività rispetto a un affitto non rinnovato in una struttura periferica.

Grottesco perché Falcomatà, che chiede oggi le dimissioni di Di Furia, non ha nemmeno mai pensato di rassegnare le proprie, rimanendo incollato alla propria poltrona, anche da sospeso, nel corso del procedimento sul caso “Miramare” (da cui poi, va detto, è fuoriuscito assolto). E non ci ha pensato nemmeno quando è finito in vicende oggettivamente imbarazzanti emerse, negli anni, in alcune inchieste. Senza contare il suo coinvolgimento, con l’indagine per corruzione elettorale aggravata dalle modalità mafiose, nel procedimento “Ducale”, contro la cosca Araniti.

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Che la città sembra aver dimenticato. Tra una serata sul tema del calciomercato con Di Marzio e Faina e un panino con la salsiccia, must delle Festività Mariane.

“Un’organizzazione approssimativa e precaria della sanità sul nostro territorio […] che ha diritto ad una governance stabile e ben organizzata” scrive Falcomatà. Ora, se eliminassimo solo la parola sanità, quale persona sana di mente e non stipendiata dall’Amministrazione Comunale, potrebbe negare che sono parole che si incollano precisamente sulla ormai decennale (ma dozzinale) esperienza di governo della città di Falcomatà?

Un’Amministrazione incapace anche soltanto di immaginare un nuovo senso di marcia. E il riferimento è alla via Pasquale Andiloro, il cui esperimento è miseramente naufragato dopo una decina di giorni.

In una terra in cui l’unica carica istituzionale e politica di una certa rilevanza a essersi dimesso continua a essere, ormai diverso tempo fa, Giuseppe Scopelliti, lo sport preferito rimane quello di chiedere le dimissioni degli altri. Lo fa il Pd, che ha accettato ogni umiliazione dal sindaco sua espressione, e lo fa oggi, senza alcun tipo di rossore, Giuseppe Falcomatà.

Nemmeno in un film di Quentin Tarantino o dei fratelli Cohen è possibile trovare personaggi più improbabili.

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