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L’inchiesta “Meta bis” sulla componente riservata della ‘ndrangheta: indagati Giuseppe De Stefano e Pasquale Condello

Dopo oltre un decennio dai primi arresti e cinque anni dalla sentenza della Corte di Cassazione che annullò senza rinvio alcune delle condanne, a Reggio Calabria si riaccendono i riflettori sull’inchiesta “Meta”, una delle operazioni più significative condotte contro le cosche della ‘Ndrangheta reggina. La Procura distrettuale antimafia ha infatti notificato nei giorni scorsi un nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari a tre figure centrali del crimine organizzato calabrese: Pasquale Condello, detto “il Supremo”, Giuseppe De Stefano e Domenico Condello, alias “Gingomma”. Si tratta di nomi storici legati alle cosche più influenti della città, ritenuti ancora oggi protagonisti di primo piano della struttura mafiosa operante sul territorio.

L’operazione “Meta”, che ebbe origine nel 2010 grazie a una vasta attività investigativa dei carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale (Ros) aveva messo nel mirino l’intera leadership della ‘Ndrangheta reggina, in particolare le articolazioni territoriali dei clan De Stefano e Condello, entrambe radicate nel quartiere di Archi.

L’inchiesta portò all’arresto di decine di affiliati, oltre che alla ricostruzione della fitta rete di alleanze e alla mappatura delle gerarchie criminali che regolavano la vita interna dell’organizzazione. Tuttavia, per quanto riguarda specificamente le posizioni di Pasquale Condello, Giuseppe De Stefano e Domenico Condello, la Corte di Cassazione, nel 2019, aveva annullato le condanne precedenti per l’accusa di associazione mafiosa, rilevando un “difetto di correlazione tra imputazione contestata e sentenza” e ordinando la trasmissione degli atti nuovamente alla Procura.

Oggi, con la nuova mossa della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda), guidata dal procuratore Giuseppe Lombardo insieme agli aggiunti Stefano Musolino e Walter Ignazitto e ai sostituti Sara Amerio e Nicola De Caria, si apre la strada a un possibile nuovo processo. Nell’avviso di chiusura delle indagini, la Procura delinea un quadro preciso e articolato: i tre boss, secondo gli inquirenti, avrebbero continuato a esercitare un ruolo determinante all’interno della componente “visibile” della ‘Ndrangheta, operando “in concorso necessario con ulteriori soggetti inseriti in ambiti decisionali più elevati, talvolta occulti”.

Secondo la ricostruzione accusatoria, Pasquale Condello, Giuseppe De Stefano e Domenico Condello avrebbero svolto funzioni apicali, con capacità decisionale all’interno di un organismo verticistico mafioso che non si sovrappone né sostituisce le singole articolazioni territoriali, ma che funge da vertice di coordinamento strategico tra le cosche. In questo modo, si configurerebbe una struttura criminale centralizzata, che opera su più livelli e che, pur mantenendo le sue radici nei clan tradizionali, si è evoluta in una rete decisionale più sofisticata, capace di incidere trasversalmente sul tessuto sociale, economico e istituzionale.

Le indagini avrebbero inoltre portato alla luce elementi che, secondo gli inquirenti, confermano l’appartenenza dei tre indagati a quella che viene definita la componente “segreta o riservata” della ‘Ndrangheta. Un ambito ancora più occulto della criminalità organizzata, strutturato per sfuggire ai radar dell’investigazione tradizionale e caratterizzato da un uso strategico di protezioni e coperture. A detta della Dda, questa componente sarebbe supportata da “molteplici schermi personali, professionali, istituzionali e massonici”, attraverso i quali si realizzerebbe una protezione reciproca tra affiliati, professionisti compiacenti e ambienti esterni alla mafia, ma collusi o condizionati.

Pasquale Condello e Giuseppe De Stefano, entrambi al vertice delle rispettive cosche, si trovano attualmente detenuti in regime di 41 bis, rispettivamente nei penitenziari di Opera (dal 2008) e Novara (dal 2010). Domenico Condello, ritenuto figura organizzativa chiave della cosca Condello, ha invece già finito di scontare la pena precedentemente comminatagli. La sua posizione resta però centrale nelle nuove contestazioni formulate dalla Procura, che lo identifica come un attore operativo e funzionale nella gestione della cosca.

L’indagine “Meta bis”, che prende nome dalla prosecuzione del filone investigativo originario, ha visto in passato coinvolti anche altri storici boss della ‘Ndrangheta reggina, come Giovanni Tegano e Pasquale Libri, entrambi deceduti negli ultimi anni. La loro scomparsa non ha però rallentato l’azione giudiziaria, che punta ora a far luce su quella parte ancora sommersa dell’organizzazione criminale, da sempre considerata il vero motore del potere mafioso in Calabria.

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