“Amo la libertà della stampa più in considerazione dei mali che previene che per il bene che essa fa” - Alexis de Tocqueville
HomeLettere"La decadenza del Centro Italiano Femminile reggino: una pericolosa falla nell'assistenza riabilitativa...

“La decadenza del Centro Italiano Femminile reggino: una pericolosa falla nell’assistenza riabilitativa ai minori”. La denuncia di sospetta parentopoli di ‘Ancora Italia Calabria’

Riceviamo e pubblichiamo:

“A Reggio, da quasi ottant’anni opera un’associazione di donne, il CIF- Centro Italiano Femminile-, che oggi, prevalentemente, eroga servizi riabilitativi a bambini affetti da varie disabilità fisiche e/o mentali in convenzione con la Regione Calabria e, dunque, gestisce, in ultima analisi, fondi pubblici.

Al CIF reggino fanno capo strutture che in passato hanno offerto alla città un ottimo servizio: Casa Serena, Villa Betania, Casa delle donne che dal loro passato nobile sono cadute, gestite solamente a fine di lucro, in un presente nebuloso perché non hanno più al centro della loro missione il bene della loro utenza ma, piuttosto, creare posti di lavoro, con lauti stipendi, per i familiari delle donne, Angela Laganà e Franca Carrabotta, che le gestiscono. E tutto ciò accade nonostante che lo Statuto dell’associazione preveda che le socie diano il loro contributo a titolo gratuito e che non possano rivestire incarichi remunerati, e allora se le presidenti regionali e provinciali usano il loro ruolo per assumere i parenti, qualcosa non funziona. Neanche il CIF nazionale interviene in questa situazione di mal costume che, almeno, dovrebbe sortire il commissariamento del CIF di Reggio Calabria: che ci siano interessi in gioco molto alti?

Sì, siamo proprio davanti ad un autentico caso di parentopoli! Quando sono le donne a gestire non si hanno risultati migliori se quelle sono mosse da logiche che sembrano ricalcare quelle tipiche di un clan. La presidente regionale della struttura, Angela Laganà, ha assunto, con carichi di lavoro non ben chiari o definiti, la nuora, Francesca Bruzzese (moglie del noto Antonino Castorina e nipote del boss Gino Molinetti), e la sorella di questa, Silvana Bruzzese che ben si sono inserite tra la nipote, il nipote e il genero della compianta Giovanna Ferrara, colonna storica del CIF; e la figlia della presidente comunale, Franca Carrabotta. Il nodo cruciale di quest’andazzo è che è crollato il livello del servizio svolto e così le terapie offerte ai giovani durano meno di quanto dovrebbero o più bambini vi accedono contemporaneamente perché i terapisti di Casa Serena e Villa Betania sono sottorganico (non solo assumono solo i familiari, ma, per abbassare i costi, vorrebbero solo personale che lavori a Partita IVA), e i genitori non protestano perché la città non offre alternative. Così pure il centro antiviolenza gestito dal CIF è stato praticamente chiuso avendo licenziato tutto il personale, ma la responsabile, Denise Ensignia, continua ad essere responsabile dei servizi fantomaticamente erogati dall’inesistente centro che, ahi noi, incassa contributi comunali e regionali pur avendo cessato di esistere nella realtà, addirittura, già durante la fase pandemica quando, approfittando dell’emergenza, che però non ha paralizzato l’attività di analoghe strutture cittadine, ha messo in cassa integrazione tutte le dipendenti. Ora il CIF dice di aver aperto un altro centro antiviolenza a Melito Porto Salvo la cui presidente, Cinzia Verduci, fa parte dell’entourage Carrabotta, come Elisa Laface, direttrice dell’asilo di Ravagnese Casa dell’Amicizia, aperto alla frequenza gratuita di alcuni bambini.

Al di là dell’aspetto giuridico di questa vicenda, brilla quello morale e politico: in una città attanagliata dalla disoccupazione, dove molti sono costretti ad emigrare per trovare un lavoro dignitoso, poche famiglie reggine utilizzano la politica e l’associazionismo come strumenti per portare avanti interessi personali e fare cassa, perdendo purtroppo completamente di vista il benessere di piccoli utenti che potranno migliorare la qualità della loro esistenza solo se i terapisti lavoreranno in un ambiente favorevole, non solo spronati a dare il meglio di loro, ma pure messi in grado di farlo.

Pare che a Reggio Calabria sia una cultura diffusa intendere la cosa pubblica come un bene per soddisfare esigenze private (caso Miramare, Festa privata al Castello Aragonese, ecc.). Per questo abbiamo segnalato tali episodi all’autorità giudiziaria e alla Prefettura affinché possano verificare se ci siano violazioni di leggi nell’operato dell´attuale classe dirigente di tale prestigiosa istituzione ed individuare eventuali responsabilità. Reggio per risorgere ha bisogno di un radicale cambio culturale, chi assume incarichi per servizi pubblici non può e non deve apportare vantaggio esclusivamente a sé stesso e/o a parenti ed amici”.

 

 

           Il Coordinatore Regionale ‘Ancora Italia Calabria’

                                                                                                   Giuseppe Modafferi

Articoli Correlati