Ieri, alla libreria Feltrinelli di corso Mazzini, Pier Paolo Di Mino ha presentato “Lo splendore – L’infanzia di Hans” (Laurana), dialogando con Daniele Garritano. Un evento che ha approfondito i temi di un’opera affascinante che spazia tra modernismo, cabala e destino umano, confermando il ruolo del Premio Sila nel promuovere la letteratura di qualità. E martedì 6 maggio, alla libreria Mondadori di Cosenza, toccherà a Marco Ferrante con il suo romanzo “Ritorno in Puglia” (Bompiani) a presentare l’ennesimo capolavoro di questa meravigliosa Decina 2025.
La libreria Feltrinelli di Cosenza, gremita di lettori e curiosi, ha ospitato ieri il settimo incontro dedicato alla Decina 2025 del Premio Sila. Protagonista assoluto della serata è stato Pier Paolo Di Mino con il suo romanzo “Lo splendore – L’infanzia di Hans”, edito da Laurana.
Un racconto d’impianto ottocentesco, pervaso dalla presenza vibrante di Dio, che attraversa ogni pagina e si fa portavoce di verità antiche e di una genealogia che, tra abeliani e cainiti, narra il destino di generazioni in bilico tra realismo e simbolismo.
A moderare l’evento, Daniele Garritano, che ha guidato l’autore in un dialogo ricco di spunti filosofici e letterari, svelando i retroscena di un’opera ambiziosa, prima di una serie di sette volumi.
Una conversazione che è scivolata naturalmente dalla letteratura alla filosofia, rivelando le architetture nascoste dietro le pagine del romanzo.
L’avvocato Enzo Paolini, presidente della Fondazione Premio Sila, ha commentato: «Con autori come Di Mino, il Sila conferma la sua missione: valorizzare chi unisce profondità filosofica a una narrazione avvincente. E questo libro dimostra che la grande letteratura può ancora interrogare e commuovere».
Gemma Cestari, direttrice del Premio Sila, ha introdotto l’evento con una riflessione: «“Lo splendore” è un viaggio audace, dove passato e presente si intrecciano in una trama che supera ogni convenzione. Di Mino ci ricorda che ogni storia è un frammento di una verità universale. Leggendolo, si è colti da continui déjà-vu, come se ci raccontasse qualcosa che già conoscevamo, ma che avevamo dimenticato».
Un viaggio tra simboli e cosmologie
Durante la serata, Pier Paolo Di Mino ha saputo svelare le radici del suo progetto narrativo – un percorso che richiama con forza i vecchi miti e i grandi scritti, dalla Cabala all’ippocratica scienza del sentire.
«Volevo esplorare il confine sottile tra reale e simbolico – ha spiegato l’autore – rileggendo la crisi del realismo attraverso una lente moderna, dove la vita di Hans, nato nel 1911 in un sobborgo berlinese, si trasforma in una mappa enciclopedica di conflitti, speranze e battaglie cosmiche». Daniele Garritano, affascinato dalla struttura ambiziosa del racconto, ha aggiunto: «Il romanzo, come un laboratorio alchemico, riunisce il retaggio dei grandi maestri e quella tradizione orale che ci ha insegnato a sedere insieme attorno al fuoco per ascoltare storie che curano e distruggono, illuminando i frammenti di luce nascosti nei recessi della nostra memoria. Non si tratta solo di un romanzo, ma di una vera e propria epopea narrativa. Leggerlo è come perdersi in un labirinto di storie, dove l’oralità si fonde alla sapienza e dove ogni parola, presa nel suo respiro, risuona come un invito ad abbracciare ciò che la vita – e il destino – hanno da raccontare».
Il ruolo del racconto e della crisi
Nel dialogo che ha animato la serata, il rapporto tra narrazione e crisi ha assunto quei contorni ambivalenti in cui la sofferenza diventa stimolo per creare e trasformare.
Di Mino ha sottolineato: «Il peccato è il motivo per cui moriamo, eppure è proprio attraverso il racconto che possiamo guardare il trauma negli occhi e, permettendoci di assolverlo, trovare una via di uscita. In quest’epoca di crisi ricorsiva, dove ogni evento sembra ripetersi, il libro ci ricorda che raccontare è anche un modo per ostentare il nostro problema, per starci dentro e trasformare il dolore in luce».
Garritano ha evidenziato l’aspetto anacronistico e al contempo universale del romanzo: «Qui troviamo una scrittura che, mescolando la retorica dei grandi maestri a quella intima del racconto popolare, ci accompagna in un viaggio che abbraccia sia la nostra storia personale sia quella dell’umanità. È la forza del racconto – capace di fungere da medicina, di farci vivere una rinascita attraverso ogni parola – a rendere questo libro un’opera imprescindibile per chi ha voglia di riscoprire il potere salvifico della letteratura. Richiede di “fare l’orecchio” a una scrittura che mescola oralità e sapienza, come attorno a un fuoco. È una storia del mondo, dove ogni personaggio, anche il più oscuro, concorre a una trama sottile che regge le sorti dell’umanità».
Catalizzatore di una memoria collettiva
Hans non è solo un individuo, ma diventa il centro di una narrazione che attraversa la storia europea, le sue crisi e le sue ripetizioni. Riguardo al ruolo del suo protagonista, Di Mino ha rimarcato come la storia di Hans sia immersa in un «rapporto antropologico che abbiamo in quanto specie narrante, che ha bisogno delle storie per stare al mondo, per costruire il mondo, per trasformarlo, per salvarlo anche». Hans, dunque, è il punto di convergenza di quella memoria letteraria e storica che si fa racconto, ascolto, e che permette di affrontare le grandi crisi collettive e personali.
Senza dimenticare il suo ruolo quasi messianico, come figura predestinata e simbolica.
Nel romanzo, Hans nasce nel 1911 in una casupola poverissima di un sobborgo di Berlino, da una donna giovane, povera e peccatrice, senza padre.
Questa nascita è già carica di echi simbolici e richiama una predestinazione: Hans sembra destinato a portare “lo splendore” nel mondo e a diventare un re secondo la tradizione ebraica.
Tuttavia, Di Mino non riduce il suo protagonista a un semplice simbolo, ma lo inserisce in una genealogia complessa, circondato da una trama di persone che, consapevolmente o meno, lavorano perché qualcosa di straordinario arrivi sulla Terra.
Prossimo appuntamento con la Decina 2025
E dopo la coinvolgente esperienza con Pier Paolo Di Mino, martedì 6 maggio, appuntamento alle 18.30: la libreria Mondadori di corso Mazzini, a Cosenza, ospiterà l’ottavo incontro della Decina 2025. Protagonista sarà Marco Ferrante con il romanzo “Ritorno in Puglia” (Bompiani), un racconto che esplora radici, identità e memoria.
A dialogare con l’autore, il giornalista e scrittore cosentino Paride Leporace. Un’occasione per scoprire un’altra voce autorevole della narrativa italiana contemporanea.
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Tre domande a Pier Paolo Di Mino
Abbiamo voluto approfondire ulteriormente alcuni dei temi del libro con l’autore…
Il tuo romanzo è stato definito un “arazzo” più che un “affresco”, per la complessità dei legami tra i personaggi e le storie. Come hai costruito questa trama così fitta e interconnessa? Ci sono stati modelli letterari che ti hanno ispirato?
L’ho costruito con estrema cura, pazienza e fatica. Una grandissima fatica. Ci sono tantissimi modelli basilari per l’intreccio. E ovviamente c’è una riflessione su “Le mille e una notte”, come sul “Decameron”, e sul romanzo moderno che è il “Don Chisciotte della Mancia”, ma anche altri suggerimenti. Per esempio “Rashomon” è un racconto giapponese in cui ogni cosa viene vista da punti di vista differenti, che per me è stata molto importante nella lavorazione di questa trama.
Nel libro convivono registri diversi, dal comico al tragico, e si alternano più voci narranti. Come hai gestito questa pluralità di toni e prospettive senza perdere l’unità del racconto?
Ecco, questo ha più a che fare con la pazienza e la concentrazione. È un lavoro un po’ meno tecnico. Posso raccontarlo quasi in maniera epidermica, di tenere il fiato sempre. Iniziare con la voce del narratore che pian piano diventa la voce dei vari personaggi. E non tornare a respirare normalmente finché non è finita.
Il titolo “Lo splendore” richiama lo Zohar e la mistica ebraica. In che modo la dimensione spirituale e simbolica attraversa la storia di Hans e dei suoi antenati?
Beh, in maniera totalizzante e permeante. C’è un forte riferimento allo Zohar, perché è una grande narrazione, quindi mi ha affascinato. Ma se pensiamo al significato di questa parola non in un racconto, ma nella percezione della realtà che avevano i latini, Venere e tutto ciò che è venerabile perché splendente, così come i primi sapienti si riferivano sempre a una Dea splendente per capire come vivere benissimo.