“È il 29 ottobre del 1949, un gruppo di braccianti di Melissa si sono radunati sul fondo Fragalà per occupare e mettere a frutto le terre incolte del barone Berlingieri.
“Arrivano un centinaio di celerini (…) e i braccianti, alla vista degli agenti, restano fermi e applaudono gridando «Viva la polizia del popolo!». Ma quella è la polizia di Scelba e del barone Berlingieri e lo dimostra subito”.
La celere di Scelba, ministro democristiano, apre il fuoco e uccide tre persone: Francesco Nigro, di 29 anni, Giovanni Zito, di 15 anni, e Angelina Mauro, di 23 anni. Molti i feriti.
Melissa è un nome dolce e antico: è il miele, nella lingua greca che ci ricorda l’origine dei primi insediamenti lungo la costa jonica della Calabria.
Melissa è anche il luogo che ci riporta all’eccidio dei braccianti, 75 anni fa.
Le riforme agrarie del secondo dopoguerra non hanno in Calabria una grande incidenza, dove impera una nobiltà latifondista che si è accaparrata illegalmente le terre che dovevano essere redistribuite. Ma ben presto il malessere dei contadini, che lavoravano con ritmi disumani senza poi godere del frutto della loro fatica, portò ad una serie di proteste che sfociarono nell’occupazione delle terre. Melissa, piccolo borgo poco a nord di Crotone, non faceva eccezione.
La fame era tanta anche per un melissese. E anche in questo piccolo comune, avviene l’impensabile e l’inconcepibile per il barone Berlingieri: i contadini si organizzarono ed occuparono un terreno nella località Fragalà.
Tutti i baroni locali, i loro diretti dipendenti e i parlamentari calabresi della DC chiedono aiuto a Roma. Uno dei reparti della celere si stabilì presso la tenuta del barone Berlingeri, dov’era in corso l’occupazione. Era l’ottobre del 1949.
Vi furono da subito da parte degli agenti molestie contro le donne e minacce contro gli uomini. I manifestanti, al contrario, continuarono ad occupare la terra senza alcuna violenza e si limitarono a coltivare quegli spazi che dovevano essere loro di diritto.
Li aveva chiamati il marchese Berlingieri e li aveva alloggiati presso le sue tenute con l’intento di combattere quel che sembrava agli occhi del feudatario un sopruso comunista.
I contadini non avevano intenzione di muoversi.
Nella seduta del 30 novembre del 1949 alla Camera dei deputati, Giuseppe Di Vittorio prende parola su questi fatti: “Questi uomini appartengono alla mia classe, alla mia categoria, alla mia gente; sono uomini in preda alla miseria e alla incertezza del lavoro, della vita, preoccupati di assicurare almeno un pezzo di pane a sé e alle loro creature. Sono uomini che si perdono in questa massa di affamati, di disperati, che da secoli lottano per conquistare questo diritto elementare a vivere, a vivere lavorando; che non sono ancora riusciti a conquistare questo diritto e che perciò continuano e continueranno a lottare. Ma alle loro richieste di lavoro, di pane, di riconoscimento di questo diritto elementare all’esistenza, si risponde massacrandoli”.
Nel 1974, a 25 anni dall’eccidio, Feliciano Rossitto, segretario generale della Federbraccianti, ricorderà quella strage in questo modo: “Non erano i primi morti nella storia delle masse bracciantili e contadine del Mezzogiorno, non erano neanche i primi morti del dopoguerra nella Repubblica nata dalla resistenza e fondata sul lavoro.
Tuttavia, l’eccidio di Melissa sconvolse profondamente tutto il Paese. Nella stessa terra di Fausto Gullo, il ministro che aveva emanato i decreti per l’assegnazione ai contadini delle terre malcoltivate, “il nuovo potere mandava le sue forze ad uccidere chi voleva lavorare”. Quei contadini che rivendicavano la terra erano ben consapevoli di rappresentare la stragrande maggioranza dei lavoratori calabresi e di avere alle spalle un diritto sancito dalla Costituzione, una forza autenticamente rivoluzionaria.
Quei contadini chiedevano la riforma agraria ed erano portatori di un progetto di rinascita della Calabria, ma sono stati sconfitti. Coloro che hanno voluto quella strage lo fecero semplicemente per dimostrare, oltre alla loro crudeltà, che al Sud la sostanza vera dello Stato non era assolutamente cambiata e che i rapporti di forza sarebbero rimasti identici a prima della Repubblica nata dalla lotta di Liberazione.
Sabato, 2 novembre presso La Casa del Popolo “Thomas Sankara” ci sarà la proiezione del documentario “LA VIA DELLA TERRA”, scritto e diretto da Enrico Le Pera, prodotto e ideato da Antonio Grimaldi con la cooperativa sociale L’Ape Millenaria.
La “LA VIA DELLA TERRA” è un documentario che racconta la storia dell’agricoltura nel Marchesato di Crotone e le lotte che i braccianti hanno dovuto combattere per la terra e per la dignità.
Affrontando vicende della storia locale – culminate con l’eccidio di Melissa – che influenzarono e determinarono la Riforma Agraria nazionale.
“LA VIA DELLA TERRA” mette a fuoco una realtà che riguarda tutto il mondo agricolo italiano.
Partendo dal latifondo dei vescovi e dei nobili, passando per le grandi guerre fino alla vicenda dell’Opera Sila, forse per la prima volta un’opera audiovisiva analizza le questioni relative allo sviluppo agricolo calabrese e le ragioni del suo decadimento”.
Così si legge in una nota di Potere al Popolo Catanzaro.