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Migrazione sanitaria, è sempre fuga al Nord per curarsi. Gimbe: in Calabria nel 2021 spesi 289 milioni

In Calabria, nel 2021 è stato registrato un saldo negativo rilevante della mobilità sanitaria regionale, pari a 252,4 milioni.

E’ quanto emerge dai risultati del monitoraggio attuato dalla fondazione Gimbe.

Nel dettaglio la Regione ha introitato circa 36.913.856 di euro di crediti per pazienti provenienti non calabresi finendo in 18ma posizione a livello nazionale e sborsando 289.326.061 per i corregionali che si sono recati fuori per potersi curare, colloca in questa circostanza in 4a posizione nella classifica italiana.

Dal monitoraggio Gimbe si evince che il 76,9%, pari a oltre i tre quarti del totale del saldo passivo si concentra in 6 Regioni: Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.

“Il volume dell’erogazione di ricoveri e prestazioni specialistiche da parte di strutture private – è scritto in una nota della Fondazione – è un indicatore della presenza e della capacità attrattiva del privato accreditato.

E’ sempre più fuga per curarsi dal Sud al Nord dell’Italia, ma nei dati c’è lo ‘zampino’ del Covid. Nel 2021, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi di euro, ben il 27% in più di quella del 2020 (3,3 miliardi), “anno in cui l’emergenza pandemica Covid-19 ha determinato una netta riduzione degli spostamenti delle persone e dell’offerta di prestazioni ospedaliere e ambulatoriali”. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3% del saldo attivo, cioè l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni, mentre il 76,9% del saldo passivo (la ‘migrazione’ dei pazienti dalla regione di residenza) si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. Lo sottolinea la Fondazione Gimbe nel report sulla mobilità sanitaria 2021. “La mobilità sanitaria – spiega il presidente Nino Cartabellotta – è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese. Un gap diventato una ‘frattura strutturale’ destinata ad essere aggravata dall’autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute”. Ecco perchè in occasione dell’avvio della discussione in aula al Senato del ddl Calderoli, continua Cartabellotta, “la Fondazione Gimbe ribadisce quanto già riferito nell’audizione in 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato: la tutela della salute deve essere espunta dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie”. La Fondazione ne spiega le motivazioni: la gravissima crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale che impedisce di mettere in campo risorse per colmare le diseguaglianze in sanità; l’indebolimento ulteriore del Sud in seguito alle maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, che invece potenzieranno le proprie performance sanitarie; le Regioni del Sud che essendo tutte (tranne la Basilicata) in Piano di rientro o commissariate, non avrebbero nemmeno le condizioni per richiedere maggiori autonomie in sanità.

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