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Lo Stretto come laboratorio di competitività e di governance dei porti italiani: se ne è discusso a Reggio Calabria

Lo Stretto come laboratorio di competitività e di governance dei porti italiani: è questa l’immagine che ha preso forma nel workshop che ha riunito, tra Reggio Calabria e Villa San Giovanni, Autorità portuali, mondo accademico, manager e rappresentanti delle associazioni di settore. Il prof. Corrado Savasta, dirigente dell’Autorità di Sistema Portuale dello Stretto, ha aperto i lavori ricordando la natura “estensiva” delle proprie funzioni — dal demanio all’ultimo miglio, dalla cantieristica alle crociere — e la complessità di un perimetro che abbraccia sei scali tra le due sponde, con un ruolo sempre più riconosciuto anche dalla Banca d’Italia come “player economico”, non solo infrastrutturale. In questo quadro si innestano i dossier su nuove banchine, la collaborazione con l’Università Mediterranea per la riqualificazione di aree come Pentimele e lo studio sul possibile spostamento a sud del porto di Villa per alleggerire il traffico pesante in città.

Il prof. Felice Arena ha dato una cornice di metodo e di merito: la portualità italiana genera valore e occupazione, poggia su circa sessanta scali con specializzazioni diverse e sconta due vincoli cronici — lentezza normativa e deficit infrastrutturali — che solo un dialogo strutturato tra istituzioni e territorio può sciogliere. L’auspicio, ripreso da più interventi, è che appuntamenti come questo diventino il luogo in cui si allineano tempi decisionali e cantieri, con un’agenda misurabile.

Per il Dott. Luigi Severini, segretario di Federmamager Calabria, l’Italia, hub naturale lungo quattro corridoi TEN-T, che movimenta ancora l’88% delle merci su gomma, sconta una logistica frammentata, fatta per il 90% di microimprese. Qui la leva non è un generico “innovare”, ma ridurre sprechi nei processi, digitalizzare davvero e costruire una cultura del dato, tenendo insieme efficienza e sostenibilità: dal cold ironing alla riduzione delle emissioni in banchina, fino al rafforzamento del capitale organizzativo e relazionale. La Calabria — con ZES/ZLS, AdSP e risorse PNRR — può trasformare rendite di posizione in vantaggi competitivi solo se pubblico e privato corrono nella stessa direzione.

La bussola dei dati, ha spiegato il dott. Oliviero Giannotti, Segretario Generale Assoporti, esiste da fine anni Novanta con rilevazioni trimestrali su merci e passeggeri: non si tratta di contabilità per addetti ai lavori, ma della base per politiche e strategie. Le divergenze apparenti con le statistiche Istat nascono da oggetti di misura differenti — nave, porto, tara, TEU, traffico ro-ro, crocieristi in transito — e non da errori.

Sul piano istituzionale, il dott. Francesc Rizzo, Commissario dell’Autorità di sistema portuale dello Stretto, ha messo in evidenza come le Autorità di Sistema Portuale siano enti pubblici non economici che amministrano il demanio e coordinano operatori pubblici e privati: una “nazione di porti” che compete con i “porti-nazione” del Nord Europa e che guarda al Nord Africa non solo come rivalità di scali, ma come partita di regole. La sostenibilità prende forma in investimenti sullo shore power, da rendere conveniente e armonizzato in Ue, mentre la digitalizzazione ha centrato il target PNRR dei Port Community System: il tema ora è l’interoperabilità con PMIS dell’Autorità Marittima e AIDA delle Dogane, fino a usare i PCS per prenotazioni e slot come antidoto alle congestion fee.

Dal lato della programmazione nazionale, l’ing. Alfredo Baldi, responsabile area porti  di Ram, ha sottolineato che la riforma del 2016 ha messo i porti in rete e che la competizione vera si gioca nel Mediterraneo e in Europa, non tra scali confinanti. I punti di forza italiani restano posizione geografica, ro-ro e crociere; le debolezze sono l’innesto urbano di molti porti, gli ultimi miglia e una digitalizzazione disomogenea. La ricetta include coordinamento stabile tra AdSP, investimenti di lungo periodo su accessibilità marittima, ferro e gomma, retroporti e semplificazione digitale — con l’attenzione crescente alla sicurezza cyber imposta dalla NIS2. All’orizzonte pesano shock come il Mar Rosso o i dazi che ridisegnano le rotte, e impongono di aggiornare il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica per evitare un digital divide tra scali.

La competitività si misura e si gestisce. Dal Dott. Carongiu, coordinatore commissione nazionale blue economy di Federmanager, è arrivato il richiamo a KPI concreti come il tempo medio di permanenza nave — dallo sdoganamento al rilascio fino all’instradamento su ferro o gomma — dove il Nord Europa resta benchmark. La sostenibilità diventa fattore competitivo: shore power, bunkeraggio dei nuovi combustibili e l’effetto dell’ETS sui costi e sulle rotte spingono gli operatori a scelte tecnologiche e organizzative non rinviabili. Per trattare con i big globali del container serve una regia-Paese capace di allineare investimenti e corridoi TEN-T, mentre trend come near-shoring mediterraneo e sperimentazioni sulla rotta artica aprono finestre di opportunità soprattutto per il ro-ro.

Il prof. Antonino Mazza Laboccetta ha riportato il porto al suo cuore istituzionale: da infrastruttura di demanio a sistema funzionale di beni, attività e servizi delineato dalla legge 84/1994; una “organizzazione” che vince solo se coordina porto, città e territorio. Ciò implica pianificazione portuale (PRP), urbanistica comunale e regionale, intese sull’ultimo miglio e attraversamenti urbani, e l’aggiornamento delle leggi urbanistiche regionali perché i PRP non siano elenchi di opere, ma processi dinamici di governo dello spazio. Alcune funzioni portuali restano incompatibili con usi urbani: integrazione normativa e procedure più rapide sono condizioni di sicurezza, controllo e crescita.

In chiusura, il prof. Domenico Marino ha proposto un indice composito per guidare policy e investimenti, fondato su tre dimensioni: velocità, connessioni e contesto. Se la “velocità” è bassa, si interviene su processi e terminali; se mancano “connessioni”, si attraggono linee e si potenzia l’intermodalità; se il “contesto” è debole, si agisce su tariffe, lavoro, norme e servizi territoriali. È un invito a passare da narrazioni e singoli progetti a un’agenda misurabile e scalabile, capace di generare anche opportunità occupazionali in una Blue economy in crescita.

Il workshop lascia così un messaggio operativo: i porti non sono solo banchine e gru, ma nodi di rete dove dati interoperabili, governance multilivello e cantieri di lungo periodo si trasformano in competitività per i territori e per il Paese. Ora che strumenti, fondi e metriche ci sono, la differenza la faranno la qualità delle decisioni e la velocità dell’esecuzione.

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