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Servire la città o servirsi della città?

di Valentina Mallamaci* – La turbolenza che attraversa ultimamente il Comune di Reggio Calabria – tra rimpasti, assessori in bilico, una maggioranza che fatica persino a riconoscersi e un’assemblea comunale che sembra reggersi più sulla diplomazia interna che sulla progettualità – impone una domanda sostanziale: cosa vuol dire oggi amministrare la res publica, servirla o servirsene?

La domanda è ispirata dal pensiero di Cicerone – riferimento fondamentale per chi riflette sul rapporto tra legge, libertà e potere – il quale concepiva la cosa pubblica come un patrimonio collettivo, non come un’arena per interessi personali.

Ciò che accade a Reggio sembra suggerire il contrario. Una politica vissuta come un terreno di conquista, una distribuzione di quote, un fragile equilibrio di posizioni da difendere. Ma il bene comune non è – o almeno non dovrebbe – essere negoziabile!

Il problema, infatti, non è solo la crisi in sé, ma ciò che rivela: l’incapacità di guardare oltre il proprio perimetro di convenienze, che trasforma la gestione della città in un esercizio di sopravvivenza personale, governandola come se fosse una collezione privata di feudi.

Il mandato pubblico non può e non deve trasformarsi in strategia di carriera, dovrebbe rappresentare una fase di servizio, temporanea in termini di incarico, non un mestiere consolidato.

In pratica, assistiamo all’opposto e la città continua a trovarsi al centro di instabilità politiche che ne rallentano la crescita e alimentano sfiducia; mentre le emergenze restano sul tavolo (elencarle sarebbe ormai un superfluo sforzo retorico), il dibattito interno al consiglio comunale sembra orbitare più attorno alle poltrone che attorno alle soluzioni.

Cicerone, che lottò per difendere la repubblica romana dall’arbitrio del potere personale, direbbe che non è la città ad essere fragile, ma la tenuta morale di coloro che la rappresentano.

Quando un’amministrazione si regge su accordi di circostanza, forzature o strategie che ignorano il quadro più ampio, la res publica comincia a inclinarsi… e Reggio si è inclinata da tempo, in attesa di risposte mentre altri attendono solo nomine o prossime candidature a qualsiasi condizione (come dimostra l’imbarazzante facilità con cui si rettifica, ammesso esista, il proprio credo politico in base all’offerta più vantaggiosa, passando da un partito all’altro senza alcuna remora)! E come può apparire credibile ed un rappresentante degno di essere magari rieletto chi è disposto a tanto?

Se davvero volessimo ripensare il rapporto tra cittadini e istituzioni, dovremmo partire da un concetto elementare (forse non dalle nostre parti): chi accetta un incarico pubblico dovrebbe farlo perché ha qualcosa da dare, non qualcosa da ottenere!

Che valore ha una maggioranza numerica se non si traduce in un progetto concreto, condiviso e credibile?

In una città dove troppo spesso la politica appare come un mezzo per garantirsi un reddito, una visibilità o una posizione per soggetti senza arte né parte, la virtù ciceroniana diventa un ricordo lontano. Eppure è proprio ciò di cui Reggio avrebbe maggiormente bisogno: da un lato cittadini partecipi e vigili, dall’altro un’élite politica meno calcolatrice, che non consideri la città come un bene da sfruttare bensì da custodire, magari capace non solo di parlare alla pancia della gente.

E guardando all’attuale quadro politico reggino, viene spontaneo domandarsi quanti fra coloro che oggi rivendicano ruoli e visibilità possono davvero incarnare questa figura? Quanti hanno realmente un bagaglio di competenze ed esperienze idonee? E quanti saprebbero attuare davvero ciò che prima promettono solo per consolidare la propria posizione? Rispondendo a questi interrogativi la selezione naturale sarebbe semplice: resterebbe chi ha un percorso professionale, una visione strutturata, chi può dedicarsi al bene pubblico senza trasformarlo nel proprio unico strumento di realizzazione.

La storia insegna che quando la politica si scolla dalla moralità, le istituzioni si indeboliscono. Reggio Calabria, nel suo piccolo, continua a mostrarlo oggi e senza un cambio di passo, continueremo ad aspettarci risultati nuovi da comportamenti vecchi… per Einstein questa era la definizione di follia!

Reggio non può restare ostaggio della mediocrità; ha bisogno di guardare oltre questo decadimento e riacquisire una visione che metta al centro i cittadini. Ma ha anche bisogno di cittadini che chiedano, controllino, partecipino. Difatti, il buon governo non dipende solo dalle istituzioni, ma dalla virtù di chi le abita: libertas non è semplice assenza di oppressione, ma partecipazione attiva e consapevole, non omertosa.

L’attuale (non)reazione della cittadinanza tra disincanto, rassegnazione e, talvolta, persino invidia verso chi riesce a ritagliarsi uno spazio nel circuito dei privilegi si deve interrompere.

Un contesto economico debole produce, inevitabilmente, una popolazione più vulnerabile alle promesse, ai favori, alle intermediazioni. Ed è proprio questa debolezza a tenere in vita un sistema che non ha alcun interesse a evolversi.

La speranza è che questa ennesima crisi sia almeno l’occasione perché la cittadinanza (si) ponga le domande giuste, soprattutto in vista della prossima imminente tornata elettorale…

In altre parole, Reggio ha bisogno, oggi più che mai, dell’idea ciceroniana di politica come servizio alla comunità e finché questo non accadrà, continueremo a oscillare tra crisi e ricomposizioni temporanee, senza mai affrontare il nodo vero: la res publica non è di chi la governa. È di chi la vive.

*Giovane professionista reggina

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