“Io credo che l’opera più grande che possa fare un sindacato come il vostro, che fra l’altro si richiama ai valori cristiani ed ai principi della dottrina sociale della Chiesa, tra i servizi che indubbiamente rendete e che dovete rendere, sia soprattutto un’opera di formazione, trasformazione e liberazione da questa mentalità che non ci fa andare avanti, che ci fa restare ancora coloro che, per essere compresi, devono essere arginati in un’area del Sud Italia o in tante aree dell’Italia, in una autonomia che ci differenzia, che ci fraziona e che ci fa restare sempre minoranza”. Questo uno dei passaggi dell’omelia del Vescovo, monsignor Serafino Parisi, nella Santa Messa celebrata durante il XIV congresso regionale della Fnp Cisl pensionati.
In particolare, facendo riferimento al libro di Geremia, monsignor Parisi ha fatto notare che si tratta di un testo con delle caratteristiche autobiografiche: “Parla di sè stesso – ha detto il Vescovo – e arriva con toni anche molto forti a ribellarsi nei confronti del Signore, a usare parole forti che saranno poi riprese nel libro di Giobbe, per esempio come quella frase ‘ma perché non sono morto? Ma perché continuo a vivere?’. Sente dentro la propria carne come un fuoco che lo sta consumando e arriva una domanda che tutti noi ci saremo fatti almeno una volta della vita: ‘ma chi me lo fa fare?’. Esausto, grida proprio così: ma chi me la fa fare, se io qua devo dire distruzione, morte, se devo passare a un certo punto come un profeta di sventure? Perché il profeta doveva segnalare tutti i vari focolai di morte che c’erano all’interno di quel contesto. Il profeta è lì a richiamare, innanzitutto queste situazioni di degrado, di limite, di ingiustizia. Ecco, io spero che voi vi possiate riconoscere in questa passione del Profeta che dice ‘ma chi me la fa fare?’, però non posso fare altrimenti, io devo parlare perché questa parola che mi guida è una parola più forte di me ed è vero che da una parte devo gridare sciagure, ingiustizie, situazioni di morte, di degrado, però, dall’altra parte non mi posso fare distruggere, non posso soccombere allo scempio che vedo davanti a me, ma devo impegnarmi perché tutto ciò che è causa di male possa avere una nuova storia, possa determinare un nuovo cambiamento”.
“Ci sono delle cose per le quali non si va mai in pensione – ha aggiunto monsignor Parisi – . E questa è una di quelle perché, appunto, c’è un primo impegno che è proprio l’espressione concreta della profezia. Noi credenti siamo chiamati ad essere profeti del mondo e il profeta non è quello che va lì a gridare, anticipando il futuro, perché noi non siamo indovini della storia. Il profeta ha la consapevolezza, e quindi anche la determinazione e la resistenza di essere dentro il mondo colui che legge criticamente la storia. Perché siamo chiamati a leggerla criticamente, questa storia, ed a leggerla, però, con i criteri della fede. Noi crediamo in Gesù Cristo morto e risorto per cui se dal chicco di grano che cade per terra e muore nasce la vita nuova, allora noi sappiamo che il nostro impegno, qui storico, da credenti, appunto, deve esistenzialmente essere perché quella storia, che a volte, si presenta a noi con delle immagini catastrofiche, da noi deve ricevere un servizio che non è in ordine alla morte, ma è invece in ordine alla vita: questo significa intervenire da credenti dentro la storia. E la parola della profezia è esattamente questa: anziché prevedere un futuro, il profeta è colui che si impegna a costruirlo il futuro”.
“La profezia – ha concluso il Vescovo – è la capacità che noi oggi abbiamo di anticiparlo il futuro, di dire, cioè, che il nostro avvenire dipende dall’impegno storico, oggi e qui dei credenti. Volendo, potrei dire che il credente nel presente non sciopera. Anzi, lavora anche quando magari le strutture di peccato e le storture che si percepiscono spingerebbero ancora a ripetere quella domanda ‘ma chi me lo fa fare?’. E, invece, vi è la passione, la consapevolezza di poter incidere dentro la storia che mi fanno andare avanti. Questa è una profezia. Noi siamo stati battezzati e quindi in quanto battezzati siamo sacerdoti, re e profeti. E il sacerdote è colui che raccoglie le istanze della collettività, della comunità e le presenta sull’altare perché il Signore possa guardarla. Il Signore guarda e dice che non resta indifferente al grido del povero. Poi siamo anche re. Cioè, la realtà ci appartiene; la realtà è parte di noi, come noi siamo parte della realtà che abitiamo. E allora non la possiamo vivere da figuranti, la dobbiamo vivere come protagonisti e il credente che vive da protagonista la realtà, dentro quella realtà ci butta il sangue come Gesù Cristo, perché buttarci il sangue vuol dire amare quella realtà e vuol dire io ti do la mia vita perché tu possa vivere. E, poi, siamo profeti e la profezia che il mondo si attende è esattamente questa: cioè di sposare la realtà, di abitare la storia, di interpretarla e di servirla”.