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Reggio: il 9 aprile l’incontro “1945-2025: 80° anniversario fine della seconda guerra mondiale”

Il prossimo 9 aprile sulle varie piattaforme Social Network presenti nella rete, sarà disponibile la seconda conversazione facente parte del ciclo di incontri, organizzati dal Circolo Culturale “L’Agorà” sul tema “1945-2025: 80° anniversario fine della seconda guerra mondiale”. In occasione dell’ottantesimo anniversario della fine delle ostilità della seconda guerra mondiale e della liberazione dall’oppressione e dalle dittature in tutto il mondo, si stanno organizzando conferenze e manifestazioni, anche il Circolo Culturale “L’Agorà, pur nel suo piccolo, ha inteso dare un contributo, organizzando una serie di momenti di riflessione su tale periodo storico che si protrarrà per tutto il mese di aprile. In tale ciclo di conferenze ci saranno diversi momenti di approfondimento che coinvolgeranno studiosi, ricercatori, accademici, istituti culturali e l’analisi di una serie di lavori multimediali realizzati dal Circolo Culturale “L’Agorà che tratteranno diversi aspetti del periodo storico in argomento. Aprirà la giornata di studi Alberto Cafarelli trattando il tema “I fatti di Cefalonia”. L’eccidio di Cefalonia fu un crimine di guerra compiuto da reparti di tedeschi nei confronti dei soldati italiani presenti alla data dell’8 settembre 1943, giorno in cui fu annunciato l’armistizio di Cassibile che sanciva la cessazione delle ostilità tra l’Italia e gli anglo-americani. A  Cefalonia nel settembre 1943 furono massacrati dalle truppe tedesche 6.500 soldati italiani, fu insabbiata nell’autunno del 1956 in nome della ragione di  Stato.  A Cefalonia i soldati della divisione “Acqui”  furono selvaggiamente massacrati dopo essersi arresi. L’ordine, impartito da Hitler, venne eseguito con determinazione inumana.  È stata una delle azioni più arbitrarie e disonorevoli della lunga storia del combattimento armato», disse il rappresentante dell’accusa al processo di Norimberga. Finita la guerra, familiari delle vittime e superstiti si batterono perché i 31 militari tedeschi responsabili di quell’eccidio venissero  processati. Ma la politica non permise di arrivare al processo. Nell’ottobre del 1956 Gaetano Martino, liberale,  ministro degli Esteri, scrisse a Taviani, ministro della Difesa, proponendogli in sostanza l’affossamento di ogni percorso di giustizia. E ciò in nome della risurrezione della Wehrmacht,  cioè dell’esercito tedesco, necessario alla Nato  in funzione anti-Urss.  Taviani pose una sigla di assenso sulla lettera di Martino. Davanti al presidio tedesco, forte di 2000 uomini, insediato nello stesso territorio degli italiani, circa 12.000, molti dei nostri si rifiutarono di consegnare le armi al vecchio alleato ed il generale Gandin, decise dopo un referendum tra gli stessi soldati italiani, di combattere ancora, questa volta a fianco della resistenza greca. Molti furono i caduti reggini come il sottotenente Silvio Dattola, il tenente Ugo Correale di Santacroce di Siderno Marina, il capitano Giuseppe Bagnato, fucilato nella “casetta rossa”, Francesco Quattrone, ufficiale di fanteria al 17 reggimento, morto in combattimento e  medaglia d’argento al valor militare alla memoria consegnata durante la cerimonia del 4 novembre di metà anni novanta. Si parlerà anche di Gino Gentilomo, sopravvissuto all’eccidio ed il primo ad aprire il fuoco contro i tedeschi, il quale scrisse un libro dove racconta la sua storia, e poi Nino De Stefano, Francesco Brath, capitano  medico. La tragedia della divisione Acqui non finisce a Cefalonia: delle prime quattro navi partite dall’isola con i prigionieri italiani, tre vengono affondate, causando più di 1.300 morti. Il resto dei sopravvissuti, circa 6.500, inizia un viaggio di più di un mese verso i campi dell’Europa dell’Est su treni e navi stipati “oltre ogni limite di sicurezza” per espresso ordine del generale tedesco Lanz. La tragedia senza fine della divisione Acqui continuerà poi nei campi di prigionia russi, fino in Siberia, dove saranno mandati dopo la cattura da parte dell’Armata Rossa. Nel corso della seconda giornata inerente a “1945-2025: 80° anniversario fine della seconda guerra mondiale”, seguirà l’intervento del Presidente del Circolo del Cinema “Zavattini” che ha tratto il tema “Il cinema post bellico nel neorealismo italiano: Rossellini e De Sica”. Il neorealismo è stato un fenomeno eterogeneo, quindi non dotato di un manifesto o di poetiche programmatiche, che ha interessato una buona parte del cinema italiano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, cioè il 1945, al 1953/1954.Il 1945 è l’anno in cui, dopo la Liberazione, finisce la guerra ed esce “Roma città aperta”, film diretto da Roberto Rossellini. “Roma città aperta” è considerato l’atto di nascita del neorealismo, fu in parte girato prima che la città fosse completamente liberata e riassume il sentimento di identità nazionale che andava formandosi in quegli anni. Con il neorealismo, i registi riscoprono la necessità di portare la cinepresa a contatto con la strada: si valorizza l’attualità, agli attori professionisti si affiancano attori presi dalla strada e si ricorre a set autentici sia per gli esterni che per gli interi. Questa decisione era anche dovuta al fatto che gli studi erano andati distrutti a causa dei bombardamenti. Tali affermazioni sono vere solo in parte, in quanto si possono individuare diverse eccezioni.

“Sciuscià”, film diretto da Vittorio De Sica nel 1946, fu girato in larga parte in studio. “Roma città aperta”, invece, faceva affidamento su attori che avevano già una carriera cinematografica ma anche teatrale, tra cui Anna Magnani. Il cinema assume l’importante funzione sociale di strumento di conoscenza della realtà e instaura un rapporto paritario tra registi, collaboratori e pubblico. Il secondo appuntamento si concluderà con il reportage “I reggini e la Resistenza: quale memoria? Quale radici?”. Queste alcune delle cifre che sono state oggetto di analisi, nel corso della prima giornata di studi organizzata dal Circolo Culturale “L’Agorà”.

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