di Roberta Mazzuca – Presentati questa mattina, in una conferenza stampa appositamente convocata, i dettagli della cosiddetta “Operazione Deep 2” a cui, in seguito all’attività di verifica avviata dal Comando Legione Carabinieri “Calabria” d’intesa con il Comando della Regione Carabinieri Forestale, è stata data esecuzione, nella provincia di Reggio Calabria, a partire dalle prime ore del mattino fino alla tarda serata di ieri. A coordinare le attività sul territorio i tenenti colonnelli Gianluca Migliozzi, comandante dello speciale gruppo di stanza a Gioia Tauro, e Rocco Lupini, comandante del reparto operativo dei Carabinieri Forestali di Reggio Calabria, in un intervento complesso che ha visto il coinvolgimento coordinato e simultaneo di circa 300 Carabinieri delle varie componenti, ovvero dell’Organizzazione Territoriale e per la Tutela Forestale, Ambientale e Agroalimentare affiancati, per la perlustrazione di aree impervie e acquitrinose, da Squadre operative dello Squadrone Eliportato e Cacciatori di Calabria, con il supporto aereo dell’8° Nucleo Elicotteri CC di Vibo Valentia, nonché specialistico del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale di Reggio Calabria. Un servizio a largo raggio che rappresenta la prosecuzione di un’attività che il mese scorso ha interessato le province di Vibo Valentia, Catanzaro e Cosenza, e che “appartiene a una vocazione antica per l’Arma dei Carabinieri che è quella dell’attenzione all’ambiente, all’ecologia, testimoniata dalla confluenza a partire dal 2017 dell’Arma dei Carabinieri nel corpo forestale dello Stato”.
“Da questa operazione e da quella precedente – afferma il generale di Brigata Pietro Francesco Salsano, comandante della Legione Carabinieri Calabria – è emerso che la regione è in una situazione ambientale fortemente degradata. Questa è un’operazione di polizia ambientale che in parte si tradurrà in fascicoli giudiziari, ma la funzione fondamentale è quella pedagogica” – ci tiene a precisare. Tale situazione ha avuto modo di emergere grazie ad un’osservazione empirica, in relazione al ciclico intorbidimento delle acque marine, che si verifica soprattutto nella stagione estiva quando si registra un aumento della popolazione dimorante sulla fascia costiera; un’osservazione clinica, a seguito dei risultati di numerosi accertamenti tecnici eseguiti tramite campionatura delle acque per esami specifici condotti da Enti specializzati; e, infine, statistica, realizzata con l’analisi dei dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che colloca la Calabria tra le ultime Regioni per produzione e trattamento di fanghi provenienti da acque reflue urbane, rapportata alla popolazione residente (cosiddetto indice di potenziale smaltimento non controllato/illecito dei fanghi). Infatti, per comprendere l’entità del fenomeno, basta pensare che nel 2019, in Calabria sono state dichiarate 34.072 tonnellate di fanghi regolarmente trattati a fronte di una popolazione di 1.860.000 abitanti mentre – a titolo meramente indicativo – sono state invece 90.660 le tonnellate dichiarate, sempre nel 2019, per 1.600.000 abitanti nella regione Sardegna e, ancora, 299.814 tonnellate di fanghi trattati dalla Puglia nello stesso anno a fronte di circa 4.000.000 di abitanti.
Un’operazione che è anche informazione di ciò che accade nel proprio territorio, e che per di più ha evidenziato seri danni alla salute umana, con la preoccupante rilevazione, attraverso le indagini chimiche, di metalli pesanti che vengono assorbiti dalle piante, dagli animali, e quindi dagli esseri umani. “Un danno che viene fatto per risparmiare del denaro, non conferendo i rifiuti nelle modalità previste, perciò continueremo nelle operazioni finché non completeremo l’intera Calabria”. Non una classica operazione in cui si misurano gli arresti, dunque, ma un invito ai cittadini a denunciare ciò che accade intorno a loro, dare una mano al territorio per aiutare se stessi e arrivare al miglior risultato possibile. “Rispetto ad altri territori, qui in Calabria si producono pochissimi rifiuti, e allora la domanda è: dove vanno a finire?” – chiede Salsano alla platea di giornalisti presenti.
Tutto questo, in considerazione del fondamentale presupposto che la salvaguardia dell’ambiente rimane uno dei principali obiettivi nazionali ed europei, tanto da essere destinataria di rilevanti risorse e finanziamenti anche nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il fenomeno del degrado e dell’inquinamento ambientale di acque e suolo ha, infatti, ripercussioni estremamente negative sull’intera società per i potenziali rischi alla salute umana e animale, per gli ecosistemi presenti sul territorio, sul sistema economico, con particolare riguardo al settore turistico. Vi è inoltre il costante pericolo d’infiltrazione della criminalità comune ed organizzata nella gestione del ciclo dei rifiuti, in ragione dei rilevanti interessi economici.
Fondamentale si è rivelato in fase operativa il supporto tecnico specializzato dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria diretta da Domenico Pappaterra oltre che della Stazione Zoologica “Anton Dohrm” guidata in Calabria dal Prof. Silvestro Greco, ai fini del campionamento di acque reflue e fanghi per intercettare eventuali flussi inquinanti e procedere ad un’articolata attività di analisi dei dati informativi raccolti nel corso dei vari servizi di controllo del territorio, finalizzati ad individuare le fonti di potenziale inquinamento fluviale e marino quali siti di depurazione, aree palustri e canali di scolo in prossimità della costa.
L’attività di monitoraggio ha pertanto interessato siti di depurazione, e corsi d’acqua lungo il loro naturale percorso per poi procedere alla campionatura di acque e terriccio sottoposti a successiva analisi in laboratorio al fine di individuare la tipologia di prodotti chimici inquinanti.
Nel medesimo contesto operativo, militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria, hanno eseguito perlustrazioni in territorio impervio, risalendo alcuni corsi d’acqua, tra cui i fiumi Mesima e Petrace che sfociano sulla costa tirrenica, il torrente Caserta e la Fiumara Annunziata a Reggio Calabria, nonché i torrenti nella piana di Gioia Tauro e nella Locride, fino alle sorgenti, nell’eventualità che alcune aziende, distanti anche centinaia di metri dal torrente, attraverso tubazioni abusive sversassero liquami direttamente nell’alveo fluviale. In una prossima fase, la procedura di verifica sarà ulteriormente approfondita mediante il confronto delle analisi chimico-biologiche eseguite sui campioni prelevati e l’eventuale corrispondenza con i residui prodotti dalle attività che possono aver determinato la contaminazione.
Un intervento di natura non solo repressiva, ma anche preventiva, fondamentale in un settore come quello dell’ambiente, in cui recuperare un danno è estremamente difficile e costoso. Un’operazione come questa pone l’accento sulla problematica della salubrità dei luoghi, dei cittadini, richiamando l’attenzione della componente politica, sociale, associazionistica, delle attività produttive, sull’attività di prevenzione, permettendo a questa terra di sviluppare tutte le sue potenzialità. “L’Arma dei Carabinieri si inserisce in questo contesto – spiega il Colonnello Giorgio Maria Borrelli, comandante della Regione Carabinieri Forestale, – in maniera tale da poter permettere anche un momento di riflessione e di slancio rispetto a tutte queste tematiche. Un’Arma che guarda nella totalità al territorio, che sa stare sul territorio, è radicata sul territorio, ed è punto di riferimento per il territorio”.
I DATI DELL’OPERAZIONE: 100 GLI OBIETTIVI CONTROLLATI, SANZIONI DA 400.000 EURO E 51 PERSONE DENUNCIATE
L’intervento è stato effettuato su tutta la provincia di Reggio Calabria su tre direttrici principali: la prima inerente alla depurazione in senso stretto e alle strutture asserite ad essa, connesse ai depuratori che se non funzionano all’unisono generano inquinamento; il secondo profilo ha riguardato principalmente il censimento e la verifica di tubi, collettori, che varie attività produttive installavano abusivamente e facevano confluire direttamente sulle fiumare o torrenti; il terzo ha riguardato il controllo delle attività commerciali e imprenditoriali che potessero essere potenzialmente e maggiormente inquinanti, come autolavaggi, lavanderie, tutte quelle in cui è necessaria la cosiddetta AUA (Autorizzazione Unica Ambientale), in mancanza della quale non è possibile esercitare.
Più di 100 gli obiettivi controllati, in un’area che ha interessato la fascia medio-costiera ionica, tirrenica e dello stretto della provincia di Reggio Calabria per più di 220 chilometri. 48 gli impianti di depurazione e strutture asservite, di cui 14 sanzionati, “per violazioni della normativa in materia di gestione degli impianti e omesso smaltimento di fanghi”. Di questi ultimi, 9 presentavano degli illeciti di natura penale, mentre 5 di natura amministrativa. Dei 9 illeciti penali, 5 sono stati sequestrati: più specificatamente, 3 depuratori veri e propri, un canale collettore, e una stazione di sollevamento. Ad esempio, afferma il colonnello Migliozzi, “in un depuratore si riscontrava lo stoccaggio di sabbie e rifiuti di varia natura in quantità non autorizzata per un periodo superiore a un anno. Ciò è emerso dal registro che deve attestare le manutenzioni ordinarie e straordinarie, di fronte al quale la violazione era palese. Si trattava di quasi due tonnellate di residuo solido e, peraltro, il tubo collettore finale che dovrebbe essere facilmente visibile ed ispezionabile, non è stato ancora trovato. Un altro impianto, invece, tracimava di fanghi d’acque e parte di queste acque reflue sversavano direttamente in un torrente, in un terreno in cui due anni fa si era verificato anche un incendio. A distanza di due anni, la vegetazione stava ricrescendo, e questo quindi ha provocato danni a un terreno già danneggiato. Un altro sito era visibilmente inquinato: qui, ad occhio nudo, si vedeva il colore dell’acqua torbida, grigiastra, non veniva pulito e manutenzionato da più di quattro anni. In un’altra occasione, infine, vi era un vecchio depuratore, e metà del comune faceva confluire le acque reflue direttamente in questo depuratore che a sua volta scaricava anch’esso nella fiumara e nei terreni circostanti”.
Per quanto riguarda le attività inquinanti, ne sono state controllate 60: di queste, 42 sono state sanzionate dal punto di vista amministrativo e/o penale. 29 quelle sottoposte a sequestro: 14 autolavaggi, 5 cementifici, 6 imprese agricole, 2 lavanderie industriali e 2 officine “per plurime violazioni in ordine alla normativa di settore”. “Le lavanderie industriali non avevano autorizzazione ambientale, la cosiddetta AUA, negli impianti agricoli rinvenuti imballaggi, plastiche, ma soprattutto eternit, così come in un’impresa agricola attigua ad un torrente sono state rinvenute due auto oggetto di furto. In un paio di occasioni, due imprese di calcestruzzo con dei mezzi propri sversavano direttamente sulla fiumara, e in un altro provvedevano al lavaggio dei mezzi stessi, con un inquinamento ambientale considerevole” – spiega ancora il colonnello.
Sono stati, inoltre, eseguiti in totale 84 campionamenti di acque di fanghi da depurazione, i cui esiti saranno inviati e sottoposti al vaglio dell’Autorità Giudiziaria competente per l’emissione di eventuali provvedimenti. Risultano contestate ingenti sanzioni pecuniarie per un complessivo di circa 400.000,00 euro e deferite all’A.G. 51 persone.
Ci sarebbero anche degli amministratori locali tra i 51 soggetti denunciati dai carabinieri nell’operazione “Deep 2” che ha portato alla luce diverse irregolarità nella gestione dei depuratori della provincia di Reggio Calabria. “Purtroppo si tratta di una conferma, – afferma il generale Salsano – avevamo gia’ avuto dei dati abbastanza inquietanti nella precedente operazione ‘Deep’ fatta nella fascia tirrenica dell’alto cosentino. Oggi dobbiamo dire che analogamente abbiamo riscontrato molte irregolarità nel territorio della provincia reggina. Ci dà l’idea di quanto lavoro ci sia da fare nella regione per riportarla a livelli ambientali adeguati”.
Con il nuovo decreto legislativo sulla stampa, non sono stati rilasciati nomi, cognomi e zone in cui si sono verificati i controlli.
“L’intervento condotto ieri – fa sapere l’Arma dei Carabinieri – rappresenta solo l’inizio di una più complessa strategia di protezione dell’ambiente e della natura che vedrà impegnati i Carabinieri della Calabria anche nei prossimi mesi non solo nel contrasto all’inquinamento acqueo, che comunque interesserà gradualmente tutti i tratti costieri della Regione, ma anche nella lotta ad ogni forma di compromissione dell’habitat naturale dal suolo all’aria, dai centri urbani alle foreste”.