Si può fare impresa con successo in una delle zone a più alta densità mafiosa del paese, facendo una esplicita e forte “scelta di campo” in fatto di legalità? E quali problemi, quali difficoltà incontrano gli imprenditori reggini che rigettano i condizionamenti della criminalità organizzata?
Sono queste le principali domande a cui ha risposto la prima indagine sulle imprese iscritte a ReggioLiberaReggio “La libertà non ha pizzo”. L’associazione, – si legge in una nota – nata a Reggio Calabria nel 2010 su iniziativa del coordinamento cittadino di Libera, in risposta al gravissimo attentato subito a suo tempo da Tiberio Bentivoglio, raccoglie oltre 70 PMI reggine, appartenenti a diversi settori produttivi.
L’indagine, i cui risultati sono presentati nel report curato da Dario Musolino, docente presso l’Università Bocconi e presso l’università della Valle d’Aosta, si è focalizzata su diversi temi. Innanzitutto, si sono studiate le strategie e il modello di business di queste imprese, nonché la loro performance e i loro punti di forza e debolezza. In secondo luogo, ci si è concentrati sul rapporto di queste imprese con lo specifico contesto locale (Pubblica Amministrazione, servizi pubblici e privati, infrastrutture, ambiente imprenditoriale, clima sociale e culturale). In particolare, a questo proposito si è analizzato come queste imprese valutano l’influenza delle organizzazioni mafiose sul sistema produttivo e sull’economia locale, considerando anche la loro esperienza diretta. Infine, l’indagine ha cercato di capire quali sono i desiderata di questi imprenditori, in fatto di azioni e interventi da parte delle istituzioni nazionali e locali.
Dalle analisi dei dati emerge che le imprese iscritte a ReggioLiberaReggio, grazie in particolare a fattori quali qualità, specializzazione e reputazione, godono di buona salute. Solo il 10% dichiara di essere in perdita, mentre nove su dieci sono in utile (e sei su dieci presentano un utile superiore al 10% del fatturato). Circa l’80% delle società intervistate presenta poi un andamento stabile o in crescita delle variabili di performance (margini, fatturato e addetti) negli ultimi anni, mentre nessuna rileva una diminuzione della clientela successivamente all’adesione alla rete ReggioLiberaReggio; quasi il 20% registra al contrario un aumento. La “scelta di campo” contro la mafia non solo non le penalizza, ma sembrerebbe premiarle.
E questo, nonostante la pressione della criminalità organizzata che, nella loro stessa esperienza, rimane sempre forte a Reggio Calabria, per quanto agisca in modo diverso rispetto al passato (si concentra sempre più in determinati settori produttivi, “colpendo” specifiche funzioni aziendali). Meno del 10% delle imprese intervistate ritiene infatti che si possa fare impresa a Reggio senza correre alcun rischio di subire condizionamenti mafiosi (e per quasi il 50% è certo o probabile che si subirà qualche condizionamento di questo genere).
Interessante è inoltre il fatto che questo accade in un contesto estremamente difficile, non solo a causa della presenza della mafia. La carenza di servizi e di supporto delle istituzioni (inefficienza della PA), la lontananza fisica dai mercati (infrastrutture insufficienti), la rarefazione imprenditoriale e la scarsa attitudine alla collaborazione tra imprese, creano infatti un forte isolamento e notevoli vincoli alla capacità competitiva di queste imprese. L’80% circa delle imprese intervistate non a caso dà una valutazione negativa delle istituzioni di governo e dei servizi pubblici, così come delle infrastrutture.
Per superare queste gravi criticità, – conclude la nota – le imprese di ReggioLiberaReggio si aspettano da un lato più controllo e vigilanza sul territorio, e maggiore capacità di intervento per proteggere al meglio aziende e cittadini; dall’altro lato, invocano supporto economico a chi denuncia, via per esempio agevolazioni fiscali, e una azione migliore e ad ampio raggio degli enti di governo nazionale e locale per migliorare il contesto, istituzionale, infrastrutturale, e sociale, e ridurre quindi il drammatico isolamento in cui operano. Servono in altre parole interventi e azioni che supportino meglio e incoraggino il tessuto imprenditoriale locale che rigetta sempre più numeroso i condizionamenti mafiosi, e fa impresa in modo sano e con successo.
“C’è una Calabria pulita, appassionata, responsabile- scrive Luigi Ciotti, presidente di Libera nella prefazione del Rapporto- che si oppone con forza alla ’ndrangheta e alle sue diramazioni …. Ora come allora, lo scopo è da un lato incoraggiare la ribellione alla tirannia mafiosa, dall’altro sostenere le vittime del racket che scelgono la via della denuncia, costruendo attorno a loro una rete di corresponsabilità, di consapevolezza, di opportunità. …. Non solo, dunque, aiutare i cittadini che si mettono in gioco, ma creare le condizioni sociali, amministrative, economiche e politiche perché il pizzo non trovi più “agganci” in contesti dove il consumo responsabile, il diritto alla libera impresa e la giustizia sociale hanno preso il posto della paura, del privilegio e del “favore” …”