Non si può chiedere alle famiglie e alle scuole di seguire una linea educativa coerente se la società che ci governa manda segnali contraddittori. Prima si vietano i cellulari perché fanno male, poi si chiede di introdurre l’intelligenza artificiale come strumento didattico. Il risultato è un paradosso che disorienta tutti: adulti, insegnanti, genitori e soprattutto bambini.
MANCA UNA DIREZIONE CHIARA SULL’EDUCAZIONE DIGITALE
Lo dice la pedagogista Teresa Pia Renzo che torna a rilanciare un tema troppo spesso trattato con superficialità e riguarda l’assenza di una direzione chiara nell’educazione digitale. La confusione di Stato – sottolinea – sulle direttive che interessano l’applicazione delle nuove tecnologie nelle scuole rischia di tramutarsi in schizofrenia educativa. Insomma è un governo dell’educazione che sta perdendo la bussola.
UN PAESE CHE CAMBIA IDEA OGNI TRE MESI
Negli ultimi anni la gestione del digitale in ambito educativo è stata un susseguirsi di spinte opposte: prima è esploso l’allarme dei pediatri contro l’uso dei cellulari in età precoce; poi è arrivata la nota ministeriale che dal 2025 vieta l’ingresso degli smartphone nelle scuole; subito dopo, però, è partita la discussione sull’introduzione dell’intelligenza artificiale come supporto alla didattica quotidiana. Non è un percorso ordinato – incalza la pedagogista – ma una sequenza di interventi scollegati tra loro, incapaci di offrire un quadro stabile. Le famiglie – aggiunge – non sanno come regolarsi perché ricevono indicazioni che si contraddicono. Gli insegnanti non sanno se devono controllare, vietare, integrare o ignorare. I bambini restano nel mezzo, esposti a strumenti che non comprendono e a decisioni che non dipendono da loro.
LA RADICE DEL PROBLEMA: L’ADULTO DISORIENTATO
La pedagogista non attribuisce la responsabilità agli strumenti, ma alla gestione adulta che li circonda. Un bambino – dice ancora – non diventa dipendente da un cellulare da solo. Un genitore stanco glielo consegna senza renderlo parte di una relazione, un’insegnante fatica a difendere le sue regole perché il quadro normativo cambia di continuo, la società pretende comportamenti coerenti ma non li insegna. Il risultato è una generazione che cresce senza riferimenti chiari e che, inevitabilmente, cerca risposte dove è più semplice trovarle. Quando basterebbero dieci minuti autentici al giorno per ristabilire un contatto. Ma si è perso anche il valore della comunicazione in casa, sostituita troppo spesso dalla distrazione reciproca.
IL 2019 COME PUNTO DI NON RITORNO
Per comprendere il presente, Renzo invita a ricordare il passato recente. Durante la pandemia abbiamo spostato la scuola sullo schermo, abbiamo chiesto ai ragazzi di studiare in videoconferenza, abbiamo normalizzato la didattica mediata da dispositivi e connessioni. Non possiamo fare finta che questo non abbia inciso. Come si può oggi affermare che il cellulare è pericoloso, quando per due anni è stato lo strumento che ha garantito l’accesso all’istruzione? La contraddizione non sta nell’uso della tecnologia, ma nel modo in cui viene comunicata. Si è chiesto di seguirla perché era l’unica strada. Ora la si condanna senza accompagnare una vera educazione al suo uso. Questo non è un percorso: è un rimbalzo.
UNA RIEDUCAZIONE CHE DEVE RIPARTIRE DALL’ADULTO
Se non rieduchiamo l’adulto – prosegue la pedagogista – non tuteleremo mai il bambino. La responsabilità educativa è sempre stata verticale: parte da chi è grande e arriva a chi cresce. Serve una linea chiara che dica quando gli strumenti vanno usati, quando vanno evitati, quando devono essere mediati. Una linea che non cambi ogni tre mesi. Una linea che non dipenda dalle emergenze. Una linea che tuteli il bambino senza confondere la scuola e senza deresponsabilizzare la famiglia. Solo così – conclude Teresa Pia Renzo – potremo uscire da questo caos e recuperare l’essenziale: un adulto che guida e un minore che cresce.
