A due giorni dall’ultima competizione elettorale calabrese, l’impressione è che tra gli sconfitti si sia sin da subito fatto strada, neppure tanto velatamente, l’alibi dell’astensionismo: dopo la debacle che prendeva forma già a partire dal pomeriggio del 6 ottobre, il dito della parte politica capace di portare a casa tre pesanti sconfitte consecutive in cinque anni sembra indirizzato verso chi ha scelto di non recarsi alle urne.
Infatti, al di là delle chimeriche “aperture di riflessioni serie” annunciate all’esito di ogni sconfitta elettorale e che risuonano più come battute o frasi di circostanza che altro, dopo la vittoria del centro-destra dall’altra parte non sembrano ancora cogliersi segni di autocritica o trapelare cenni di ammissione di responsabilità. E neppure sembra affiorare dalle segreterie di partito, di uno in particolare, il proposito di rivedere certi modelli politici e strategici vecchi e superati.
Eppure, come dimenticare, per esempio, l’annuncio con il quale il candidato presidente del Campo Largo allestito per l’occasione in Calabria ha inaugurato la campagna elettorale; annuncio a torto o a ragione da molti mal digerito poiché ritenuto evocativo di un certo pentastellismo delle origini e da altri recepito alla stregua di slogan propagandistico; come dimenticare certe gaffes in cui si è inciampati in piena campagna elettorale. Basti pensare, inoltre, a certe candidature inopinatamente messe in campo in palese contraddizione con i dichiarati propositi di rinnovamento e con gli annunciati cambi di rotta, nonché in contrasto con le politiche sanitarie e di welfare che sarebbero stati – si prometteva – i capisaldi dell’azione di governo regionale nel caso di una sperata quanto improbabile affermazione elettorale.
In quest’ottica, occorrerebbe affidarsi a un’analisi vera di ciò che realmente concorre a determinare il disinteresse verso le urne, fenomeno non certo da collocare al rango di alibi ma che diversamente riflette un processo di riduzione della fiducia nella classe politica e nella capacità della democrazia rappresentativa di influire positivamente sulla vita quotidiana delle persone. In Calabria in particolare, la tendenza all’astensione è aggravata da fattori strutturali e su di essa incidono più che altrove la forte disoccupazione giovanile e l’emigrazione massiccia. Tra le criticità che contribuiscono ad alimentare l’astensionismo, infatti, emerge l’incidenza dei vincoli logistici per chi vive all’estero o in comuni diversi da quelli di residenza, problema peraltro facilmente risolvibile con l’introduzione della possibilità del voto per corrispondenza o modalità semplificate per gli elettori residenti all’estero o fuori sede.
Per contrastare e porre un freno al dilagante astensionismo, non ci si può limitare a interpretare il calo della partecipazione come semplice disinteresse, pigrizia civica, ignoranza. Esso è un segnale d’allarme, un appello a riallacciare i rapporti tra istituzioni e cittadini, tra rappresentanza e base elettorale. Per farlo, occorre una politica capace di rimettere al centro le persone, come soggetti attivi e corresponsabili del bene comune e della crescita della collettività.
In Calabria, infine, si tende a trascurare un fattore formale che meriterebbe invece di essere approfondito negli studi e nelle analisi del fenomeno: la forbice tra il numero di abitanti e quello di elettori. Se rapportato non al numero dei votanti ma alla popolazione effettiva, pur al netto di chi è residente ma fuori per ragioni di studio o lavoro e di chi non ha ancora raggiunto l’età richiesta per poter votare, si vedrà che in Calabria l’astensionismo è sì dilagante, come in definitiva nel resto nel resto del Paese, ma che tuttavia si attesta su percentuali inferiori rispetto a quelle che leggiamo nei dati che misurano l’andamento del voto. Se considerassimo le differenze tra cittadinanza e residenza e tenessimo conto dei molti residenti che vivono fuori regione, infatti, il quadro complessivo del voto calabrese apparirebbe diverso.
Per queste ragioni, la lettura dell’ennesimo flop del centro-sinistra in chiave solamente astensionistica è errore di non poco conto, poiché rischia di fornire un alibi fuorviante per certi modelli politici vecchi e logiche di partito superate nonché per gli strafalcioni nella comunicazione. Per contrastare la disaffezione diffusa alla politica e il disinteresse verso le urne serve ripensare e rivedere molte cose, a partire dalla messa in campo, dopo tre cocenti sconfitte in cinque anni, di una buona dose di sana e proficua autocritica.