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A Reggio la mostra “TRAME IN-QUOTITUDINI” dell’artista Domenica Caridi

“Ed è qui, in questo spazio di gioco e sperimentazione che le architetture del possibile si confondono coi desideri, le visioni, le trasmutazioni, innescando un processo creativo che ha luogo da e per tutta la vita, attraversando il dolore, che quandanche appare come un ostacolo si traduce in punto di arrivo e ripartenza, in solco di sosta, per approdare e prepararsi a ricominciare, a rinascere”

Con queste parole toccanti, la curatrice Irene Polimeni, apre i battenti di “TRAME IN-QUOTITUDINI” dell’artista Domenica Caridi.

 

La mostra antologica, inaugurata il 10 luglio presso il Palazzo della Cultura “Pasquino Crupi” di Reggio Calabria, resterà aperta al pubblico fino al 30 luglio.

 

L’evento, patrocinato dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria con il brand “Anima Autentica”, dalla Fondazione “Pistoletto” con Biella Città Creativa Unesco, dall’Associazione Culturale “Le Muse” e dall’Associazione Culturale “Anassilaos” con il suo Centro Studi “Cultura dell’Architettura e del Paesaggio”, oltre a esperti d’arte, ha coinvolto i docenti dell’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, che hanno seguito il percorso studiorum dell’artista.

 

Tutte le opere, esposte nelle sale di Palazzo “Crupi”, lasciano traccia di un percorso non solo artistico ma di un vissuto, quello dell’artista, tormentato da drammatica sofferenza e al contempo dalla ricerca del senso della vita che viene rappresentato nell’installazione rivelatrice della rinascita.

“L’arte mi ha salvato la vita, perché sono convinta che la creatività offra possibilità infinite a chiunque: sia come forma di salvezza personale, sia come strumento per cambiare il modo in cui si è percepiti. La mia arte è un canto e contemporaneamente una denuncia. Una riflessione sulla vita, complessa, complicata e semplice allo stesso modo”, così mette a nudo i suoi sentimenti Domenica Caridi “La nostra identità è strettamente legata alla narrazione, alla capacità di raccontarsi in prima persona e di appropiarsi della propria storia e l’arte diventa un mezzo, un filo per trasmettere le idee e le emozioni”.

 

Nel corso del vernissage, l’antologica ha preso avvio con un tavolo di riflessione collettiva che, moderato magistralmente dal prof. Giuseppe Livoti, Presidente dell’Associazione Culturale “Le Muse”, ha ospitato gli interventi dei due curatori scientifici, nonché relatori della tesi di laurea dell’artista, la prof.ssa Giuseppina De Marco e il prof. Filippo Malice, della curatrice dott.ssa Irene Polimeni, della prof.ssa arch. Antonella Postorino, Responsabile del Centro Studi “Architettura”-Associazione Culturale “Anassilaos” e della psicologa dott.ssa Patrizia Prestamburgo.

 

Il prof. Giuseppe Livoti, tra le righe del suo intervento descrive con sensibilità la forza dell’artista “…Il filo del racconto, di un racconto è quello di Mimma Caridi a volte fragile come la storia della sua memoria ed a volte resistente come la speranza di accadimenti che vengono trattenuti e sospesi all’interno di una installazione che concede una nuova vita ad un racconto delicato e lungo nel tempo. È un filo della memoria quello che lega e circoscrive oggetti e situazioni e che la stessa vuole cercare di spezzare e/o dimenticare con una capacità di dare, di consegnare forza, coraggio ad una traccia della violenza, quella subita, quella negata ed oggi affrontata e superata…”.

 

Il prof. Filippo Malice, non solo curatore scientifico, ma mentore dell’artista afferma “Quello di Mimma Caridi è un percorso personale alimentato dalla necessità di qualificare le proprie competenze attraverso il conseguimento di ben tre titoli accademici. Da suo docente e correlatore di tesi posso sottolineare che Mimma ha sempre creduto in ogni suo passo, lavorando con abnegazione ad ogni suo progetto. L’installazione, che lei stessa definisce la sua “creatura”, non è altro che il risultato di un’attività laboratoriale che l’ha condotta alla presentazione della sua ultima tesi, discussa il giorno precedente all’inaugurazione della mostra, che, come possiamo vedere, è il cuore pulsante della stessa”.

 

La prof.ssa Antonella Postorino, evidenzia il valore universale dell’arte di Mimma Caridi “Il messaggio lanciato da Mimma con TRAME IN-QUOTITUDINI ha un valore universale perché tocca le corde della sofferenza e della rinascita umana. Il percorso artistico snodato dagli anni Settanta ad oggi traccia con molta chiarezza il bisogno di rinascere, non una ma mille volte, aggrappandosi ad ogni opera, ad ogni segno, dipinto o scolpito, come in una catarsi che si ripropone ciclicamente e che nella stanza dell’installazione trova il suo punto di arrivo, non come la fine ma come un nuovo inizio di convivenza armoniosa con il passato che da doloroso diventa fonte di vita”.

 

La dott.ssa Patrizia Prestamburgo accenna al dolore “La mostra parla di un percorso di trasmutazione alchemica del dolore, quindi dalla caduta negli inferi al Paradiso. Un viaggio dentro la psiche per recuperare quel seme di cambiamento che è contenuto in ogni dolore, cosa che Mimma ha fatto egregiamente, ha fatto un lavoro su di sé, di evoluzione, di forza, amore, evoluzione in entusiasmo. Credo che il suo dolore l’abbia portata a cogliere veramente il senso della vita. La sua mostra parla di Femminile, Femminile Sacro… Femminile Risvegliato”.

 

A conclusione del dibattito, la curatrice dott.ssa Irene Polimeni chiude con una profonda riflessione “Non è mai troppo tardi per farsi un’infanzia felice – dice qualcuno – e la capacità di ognuno di noi di attingere al proprio bambino interiore e farsi portavoce del proprio sé autentico è un atto di salvezza. Con questa mostra antologica Domenica Caridi ci concede, ci invita ad entrare dentro quello spazio così intimo e viscerale. Qui noi abbiamo il privilegio di entrare dentro le sue viscere d’artista – e di persona, che lei ci consegna così generosamente”.

 

Nell’immergersi con gli ospiti nella stanza dei ricordi, Domenica Caridi, con tanta emozione sottolinea “Non credo abbandonerò mai carta e tempera, per il momento il tessuto ha preso il posto delle tele. Il tessuto oltre che come abito può divenire superficie sulla quale rispecchiarsi, pagina bianca, lavagna materica dove scrivere attraverso il filo, i propri pensieri più intimi, ma anche l’impeto di sfoghi violenti ma salvifici. Ho iniziato questo lavoro perché volevo dipingere senza usare la pittura, il filo ha in sé la forza magica del racconto, valorizzando il potere metaforico dell’intreccio, del nodo, della trama, elementi che uniscono, connettono e visualizzano un inganno, un vincolo, un problema. Ecco, attraverso tutto questo, ho voluto raccontare la mia storia e vorrei tanto condividerla con il mondo, che diviene metafora di ciascuno, uscire dal proprio labirinto, tessere una trama, dialogare e svelare i turbamenti dell’anima”.

 

La mostra antologica, con il suo percorso di vita, offre al pubblico un itinerario nel quale spazio e tempo si fondono celebrando la rinascita.

 

 

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